Ops, mi sono sbagliata. Nasce anche da qui, da un giudice che abiura una sentenza scritta da lei stessa, l’incredibile batti e ribatti giudiziario che- se non ci saranno novità- porterà Alessandro Sallusti in carcere per diffamazione. Nel giro di tre anni e mezzo e di tre processi, la pena per Sallusti passa da cinquemila euro di multa, poco più che un buffetto, a un anno e due mesi di carcere senza condizionale. Una escalation resa possibile solo da alcuni passaggi singolari.
LA DOPPIA QUERELA A raccontare per primo la storia della tredicenne autorizzata ad abortire dal giudice Giuseppe Cocilovo è il 17 febbraio 2007, il quotidiano torinese La Stampa sotto il titolo «Costretta ad abortire, impazzisce». Il giorno dopo, Libero riprende la notizia nei termini anticipati dal quotidiano torinese, e con un commento a firma «Dreyfus». Il 17 aprile giudice Cocilovo querela solo Libero. Poi si rende conto dell'incongruenza, e il 17 maggio - ultimo giorno utile - querela anche La Stampa. Ma questa seconda querela finirà in niente.
IL RINVIO A GIUDIZIO Per Sallusti e per il cronista di Libero, invece, la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio. Il 6 maggio 2008 il giudice preliminare Giulia Turri accoglie la richiesta. Quattro righe di motivazione indicano come fonti di prova la querela di Cocilovo, gli articoli della Stampa e di Libero e gli atti di una inchiesta per procurato aborto aperta dalla procura di Torino in seguito all'articolo della Stampa. Non c'è traccia di attività di indagini per identificare chi si nascondesse dietro lo pseudonimo «Dreyfus», ovvero il giornalista Renato Farina.
LA SENTENZA TROPPO BUONA Al processo, il pubblico ministero Marco Ghezzi chiede per Sallusti e per il giornalista Andrea Monticone una pena pesantissima: due anni di carcere. Il verbale di udienza non dice se il pm si esprima sulla concessione o meno a Sallusti della sospensione condizionale. Il 26 gennaio 2009, il giudice Chiara Nobili dichiara Sallusti e Monticone colpevoli di diffamazione aggravata ma li condanna solo a cinquemila e quattromila euro di ammenda. Cosa accada a quel punto non è dato sapere: se sia la Procura a protestare col giudice, o se sia la Nobili a essere colta da una sorta di ravvedimento. Sta di fatto che meno di due mesi dopo, il 20 marzo, il giudice deposita le motivazioni della sentenza in cui dichiara di essersi sbagliata a non mandare Sallusti in galera: «nell'applicare la pena è stata erroneamente omessa l'applicazione della pena detentiva», scrive.
LA CONDIZIONALE SCOMPARSA «La condanna alla sola pena pecuniaria rende inopportuna la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena», scrive la sentenza di primo grado. Ma nei gradi successivi, quando la pena pecuniaria verrà sostituita dalla galera, questo passaggio della sentenza non verrà modificato.
LA PROCURA INSISTE Appena cinque giorni dopo il deposito della sentenza, il pm Ghezzi deposita il suo ricorso in appello. «Fatto molto grave ritiene sanzione severa», scrive Ghezzi. E cita il mea culpa del giudice del primo grado: «Il giudice, come onestamente ammette nel testo della sentenza, ha errato nell'applicazione della pena». Anche Cocilovo, il presunto diffamato, si unisce all'appello, chiedendo anche lui il carcere per Sallusti e cinquantamila euro per sé, e accusando il primo giudice di essere stata di manica stretta per una «sorta di ritrosia del magistrato chiamato a decidere su un suo collega»
LA STANGATA IN APPELLO Il 17 giugno 2011 la Corte d'appello accogliendo i ricorsi della Procura e di Cocilovo condanna Sallusti a quattordici mesi (dieci in meno di quelli chiesti dal pm) e Monticone a dodici. A Sallusti viene negata la condizionale perché «non è incensurato», anzi «avuto riguardo alle numerose condanne da lui già riportate per reati della stessa indole» si può temere che continui a delinquere. L'altro ieri la Cassazione conferma la condanna nonostante che la Procura generale chiedesse un nuovo processo considerando immotivato il rifiuto delle attenuanti.
IL CASELLARIO DI SALLUSTI Ma quanti precedenti penali ha Sallusti? Il tema è cruciale, perché determina la concessione di attenuanti generiche e condizionale. Il conteggio oscilla.
Nella sentenza di primo grado si legge che le attenuanti vengono negate «in ragione di un suo precedente penale specifico». In quella di appello, le condanne diventano «numerose». Agli atti c'è un certificato penale in cui le uniche condanne non cancellate da amnistia e condono sono due multe da 300 e da 200 euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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