Milano - Non c'era traccia di mafia nell'inchiesta Expo, finita al centro di una furibonda lite tra i magistrati milanesi. A dirlo non è Alfredo Robledo, il procuratore aggiunto che ha denunciato al Csm di essere stato praticamente scippato dell'inchiesta dal procuratore Edmondo Bruti Liberati. A metterlo nero su bianco è Ilda Boccassini, anche lei procuratore aggiunto, che dell'indagine su Expo ha tenuto le briglia fino alla fine. La Boccassini è a capo del pool antimafia della Procura milanese, e ha sempre rivendicato il suo diritto a gestire il caso per le contiguità con indagini sul crimine organizzato.
Ma ecco, nel carteggio ormai voluminoso in mano al Consiglio superiore della magistratura, spuntare una carta firmata dalla stessa Boccassini il 16 aprile 2012. È una lettera su carta intestata della Procura, inviata dalla Boccassini a Bruti. É in parte omissata, perché contiene dettagli che fino al giorno della retata di Expo erano coperti da segreto. Quanto si legge è però chiaro: «Poiché allo stato non risultano contatti con esponenti della criminalità organizzata, si ritiene doveroso segnalare la vicenda in quanto sarebbe auspicabile un coordinamento con il dipartimento Pubblica Amministrazione», cioè il pool guidato da Robledo. Il giorno stesso, Bruti con un appunto in calce alla lettera trasmette la lettera a Robledo, che designa uno dei suoi sostituti, Antonio D'Alessio, a seguire la pratica. Come va a finire, è noto: Robledo viene estromesso dall'inchiesta a causa della «non condivisione» delle scelte investigative e processuali. E a tenere il timone rimane da sola la Boccassini.
Perché, se nell'inchiesta non si parlava di contatti mafiosi, la dottoressa - anziché spogliarsi del fascicolo e trasmetterlo al pool di Robledo - chiede che sia «coordinato» trai due dipartimenti? E perché il procuratore acconsente? Anche di questo dovrà occuparsi il Csm, quando nei prossimi giorni tirerà le somme della battaglia in corso a Milano. E la lettera firmata dalla Boccassini rischia di mandare anche il caso Expo a fare compagnia all'affare Ruby nell'elenco delle indagini condotte dalla Procura milanese in violazione delle regole di competenza. Sono, bisogna ricordarlo, violazioni che non inficiano la validità delle prove raccolte durante le inchieste di questi anni. Ma potrebbero convincere il Csm che Bruti non è stato un capo imparziale, e che la sua permanenza al vertice della Procura milanese non è opportuna.
Non è mai successo, neanche ai tempi della Prima Repubblica, quando ne accadevano in silenzio di tutti i colori, che un capo della Procura milanese venisse rimosso. Bruti Liberati ne è consapevole, e di certo non ambisce a essere il primo a subire un trattamento del genere. Se capirà che la maggioranza del nuovo Csm si prepara a dichiararlo inadatto a restare al suo posto, potrebbe giocare d'anticipo e scegliere di andare in pensione al compimento del settantesimo anno, il prossimo ottobre.
Se invece il Csm sceglierà di chiudere la partita Bruti-Robledo senza vincitori né vinti, insabbiando i veleni milanesi sotto la ragion di Stato, Bruti Liberati resterà al suo posto, ma non per questo spariranno le tensioni che attraversano uno degli uffici inquirenti più delicati d'Italia. E il clima si farà ancora più pesante se Ilda Boccassini manterrà la promessa di denunciare Robledo per falso: un processo che rischierebbe di diventare il processo a una Procura che, francamente, non lo merita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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