Missione compiuta. La volpe dello United Kingdom Independence Party sbrana conservatori e liberaldemocratici al governo, laburisti all'opposizione, e si gode i risultati di una triplice impresa: in cinque anni il partito euroscettico raddoppia il suo bottino elettorale al Parlamento europeo, relega il premier David Cameron a un'umiliante terza posizione e intona il de profundis al vicepremier Nick Clegg, leader dei liberaldemocratici pro-Europa ormai in piena crisi di identità. I risultati dello spoglio arrivano lenti da Londra e sono ancora incerti ma fonti all'interno dei principali partiti britannici raccontano che gli euroscettici di Nigel Farage potrebbero essere passati dal 16,5% del 2009 a circa 30% di oggi, davanti ai tory e ai laburisti. «È un terremoto politico. Siamo pronti al divorzio dalla Ue», tuona Farage fiducioso.
Sottovalutato dai partiti tradizionali da sempre protetti dallo scudo del maggioritario puro - il sistema elettorale che non lascia spazio ai numeri tre - grazie al proporzionale l'outsider Farage ridà voce a quei britannici che considerano ormai le proprie frontiere un'autostrada senza biglietto di ingresso per i disperati di mezza Europa in cerca di lavoro e opportunità.
È un flop per il primo ministro David Cameron, che pure da mesi è consapevole dell'emorragia di voti a favore della destra «populista» o «radicale» dell'Ukip e che ha tentato di rispondere al grido di protesta promettendo per il 2017 un referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, senza sapere se mai il suo governo riuscirà ad arrivare a quella data. Ecco perché una fronda interna, l'ala dura dei conservatori, ora chiede al proprio leader di anticipare di un anno quella consultazione per frenare la fuoriuscita degli insoddisfatti e dimostrare agli elettori Tory passati all'Ukip che sull'Europa ha intenzioni serie. Ma l'esito delle europee è un avviso anche per il Labour, che non riesce a cavalcare la fisiologica disaffezione per il partito di governo e arranca di fronte al terzo incomodo Farage.
Troppi stranieri, sempre meno lavoro. Troppa Europa, sempre meno sovranità nazionale e prosperità. Con questa doppia equazione l'ex conservatore che subito dopo l'adesione della Gran Bretagna al Trattato di Maastricht si sentì tradito dai Tory e decise che fosse necessario un partito per dar voce agli euro-allergici di Gran Bretagna, sottrae terreno a partiti con secoli di storia alle spalle, facendo leva su un sentimento sempre meno rappresentato dai conservatori e sempre più in voga anche fra la classe operaia. Labour e Tory non potranno non tenere conto delle istanze di Farage, che chiede un «divorzio amichevole» dall'Unione europea, l'uscita dai trattati e la chiusura del portafogli da parte di Londra, con l'obiettivo di fare della Gran Bretagna, che già è fuori dalla moneta unica, un Paese che abbia con Bruxelles lo stesso rapporto -di collaborazione ma di autonomia- che hanno Norvegia e Svizzera.
Farage lo aveva detto a poche ore dai risultati. Il mio obiettivo è «distruggere il Partito conservatore e trascinare la Gran Bretagna fuori dall'Unione europea, poi mi ritirerò dalla politica». Una doppia scommessa che da ieri non sembra più un miraggio per l'Ukip che ha fatto della battaglia contro la dittatura dei burocrati di Bruxelles la bandiere da sventolare di fronte all'elettorato storicamente più allergico alle istituzioni europee.
Resta da capire adesso quali alleanze cercherà Farage, che per mesi ha negato affinità e voglia di lavorare con la leader francese degli euroscettici del Front National, Marine Le Pen, considerata troppo statalista e antisemita.
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