A Franca Rame, che si è spenta ieri a 83 anni dopo una lunga malattia, non si addice il tono elusivo e dolciastro che è di regola nei necrologi. Il suo personaggio di attrice e di agitatrice politica resta inciso profondamente nella cronaca e, perché no, nella storia del dopoguerra italiano. Non si può ricordare una donna che praticò il settarismo portato al massimo limite d'incandescenza con frasi di retorico compianto. Franca Rame non lo merita. È stata una grande pasionaria chiusa nei suoi odi e nei suoi amori, come l'implacabile Dolores Ibárruri della guerra civile spagnola. Le va reso, adesso che non c'è più, l'omaggio della verità: almeno la soggettiva verità di chi ha il compito di commemorarla.
Franca Rame era nata attrice, la sua era una famiglia di teatranti girovaghi, calcò le scene, si fa per dire, quando era ancora infante. Negli Anni cinquanta fu scritturata nella compagnia di Tino Scotti per lo spettacolo Ghe pensi mi di Marcello Marchesi. La sua carriera sembrava tracciata nel solco rivistaiolo. Era molto bella, e bella è rimasta fino all'ultimo.
La svolta della sua vita avvenne nel 1954 quando sposò - nella basilica di Sant'Ambrogio, a Milano - Dario Fo, acclamato giullare che con la patetica figura del «poer nano» aveva conquistato le platee. Poteva essere un sodalizio artistico, e lo fu. Ma la miscela di quei due caratteri produsse una deflagrazione politica alimentata poi dalle ribellioni, dalle utopie, dalle insensatezze del '68. La normalità era borghese, stantia e reazionaria: anche nello spettacolo. Non più le recite delle compagnie di giro, ma i collettivi, le comuni, i misteri buffi nelle fabbriche e nelle scuole occupate. La coppia Fo-Rame si fece paladina della controinformazione, bollò come adulterato ciò che la stampa pubblicava e la trasmissione trasmetteva. I messaggi di stampa e televisione erano menzogna, ciò che la polizia faceva era infallibilmente orrido. È difficile dire quale fosse in concreto l'apporto di ciascuno dei due al lavoro di coppia. Di sicuro Franca non era una comprimaria. Sembra certo che dei due fosse lei la più veemente nel volere inni all'anticlericalismo d'una sinistra radicale. La recitazione diventava invettiva e predicazione rivoluzionaria, il lazzo si accompagnava all'accusa feroce. La società in cui viviamo era intollerabile, il soccorso rosso si prodigava per i carcerati e per tutte le altre vittime della tirannia capitalista.
La commedia irrompeva nell'attualità più cupa, con Morte accidentale di un anarchico veniva proclamata la colpevolezza, per la morte di Pinelli, del commissario Calabresi: poi «giustiziato» da chi non sopportava di vederlo, dopo i suoi crimini, in vita. Fo-Rame s'inserirono anche in Tangentopoli con la pièce Settimo ruba un po' meno. Il Nobel a Dario Fo - imprevedibile e, secondo tanti, contestabile - andava attribuito anche a lei, «compagna» in tutti i sensi, quello familiare e quello di nomenklature d'un tempo. Al fanatismo teatrale di Franca Rame alcuni delinquenti intrisi d'ideologia fascistoide reagirono con il suo rapimento e con il suo stupro. Avvenne nel 1973, e solo cinque anni dopo la Rame ne parlò, in scena. Anche questo turpe episodio rafforzò il femminismo al quale si era sempre dedicata. Avrebbe voluto riempire di casalinghe le assemblee elettive. E l'idea non era niente male.
Da irregolare che era sempre stata, vantandosene, Franca Rame divenne regolare, ossia associata ai rituali, ai compromessi, alle ipocrisie contro le quali aveva tuonato, nelle elezioni del 2006. Fu candidata a un seggio senatoriale dell'Italia dei valori in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria. Venne eletta in Piemonte, ed ebbe come bersaglio di politica internazionale il presidente americano George W. Bush. Agli Usa aveva sempre addebitato ogni efferatezza. Qualcuno arricciava il naso per la sua militanza nel partito di un Antonio Di Pietro, simile all'immagine del questurino più che a quella del rivoluzionario e lei, per giustificarsi, diceva «siamo in guerra». Si mostrò tuttavia fedele ai suoi principi quando nel 2008 lasciò Palazzo Madama spiegando che «le istituzioni mi sono sembrate refrattarie a ogni sguardo, proposta, sollecitazione». Fo e Rame avevano scritto insieme un libro autobiografico, Una vita all'improvviso. Riportarono in scena Mistero buffo nel marzo del 2012. Un mese dopo un ictus folgorò Franca.
Con la sua bellezza e con la sua bravura poteva avere una vita facile e sontuosa, da regina della scena.
Ha scelto una strada molto diversa: della quale moltissimi non condividono nulla. Usò gli strumenti di comunicazione e di libertà che una democrazia come quella italiana le offriva nel contempo scagliandosi contro quella democrazia. Non fu convincente ma fu una combattente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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