Gay e "omogenitori" Il lessico ipocrita imposto per legge

La famiglia con due mamme o papà? "Omogenitoriale", l’utero in affitto è "maternità surrogata". Ecco il dizionario dell’ipocrisia

Gay e "omogenitori" Il lessico ipocrita imposto per legge

Nemmeno dovessimo maneggiare la dinamite, noi giornalisti siamo avvertiti: attenzione, quando parlate delle inclinazioni sessuali dovete usare un lessico adeguato. Serve competenza, per non sparare definizioni a vanvera, servono soprattutto terminologie ufficiali, per non offendere la dignità di nessuno. E siccome notoriamente la categoria è popolata di zucconi, qualcuno a livello governativo si è premurato di predisporci un manuale specifico, anche perché, com'è noto, questa è la priorità in una nazione che scoppia di benessere.

Il titolo del decalogo, pubblicato sul sito governativo delle pari opportunità, è Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT. Finanziato dal Consiglio d'Europa, questo bon ton destinato a rieducare la categoria di trucidi omofobi viene sostenuto dall'Unar, che in teoria sarebbe l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, cioè a dire un ufficio preposto a vigilare sul razzismo, ma che evidentemente sente di avere competenze e interessi molto più estesi. E comunque, tanto per cominciare: per LGBT si intendono persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali/Transgender. È questo l'acronimo che da ora in poi bisognerà usare. Il resto è ciarpame.

Se già a questo punto un giornalista medio può sentirsi abbastanza ignorante, nonché apertamente bestia, per aver sempre usato i banali termini gay e omosessuale, quello che viene dopo lo farà sentire decisamente peggio. Il manuale per un'informazione rispettosa spazia in tutti i campi - minati - di quella che ora ho paura a definire, ma che una volta chiamavamo colpevolmente sessualità diversa (mi aspetto la prima censura dell'Ordine). E via ai capitoli di rieducazione, con i toni da Minculpop o da Politburo che ai giorni nostri è sempre una consolazione riascoltare. Tanto per cominciare dobbiamo piantarla di dire che una persona omosessuale ha fatto outing, perché quando un tizio volontariamente si dichiara fa coming out. Noi macellai continuiamo a dire che fa outing soltanto perché non sappiamo che in realtà fa outing chi svela pubblicamente, spesso contro la volontà dell'interessato, l'omosessualità di qualcun altro.

E poi avanti. Basta dire donne gay: è ora di dare piena dignità al titolo di lesbica. Francamente non è facilissimo comprendere l'importanza di questa differenza, ma nel manuale ci spiegano che finora si è usato lesbica con tono spregiativo (?), come un insulto (??), per questo motivo anche nei media viene percepito erroneamente come parola dal vago senso offensivo (???).

Problema ugualmente enorme è l'articolo da usare davanti al transessuale: il o la? Dopo tutta una dissertazione molto interessante, si perviene comunque alla più illuminata delle conclusioni: in ogni caso, sempre meglio parlare di persona transessuale, così non si sbaglia mai.

E la famiglia gay? Molto brutto, basta con questi toni ambigui che inducono a ritenere gay tutti quanti, i genitori e pure i figli. Chi voglia fare informazione corretta, senza rischiare il cartellino giallo dell'Ordine, farà bene a definire questa famiglia «omogenitoriale», come peraltro tutti comunemente fanno nella vita quotidiana, al bar, nei supermercati e sui tram. E l'utero in affitto, uguale: bisogna finirla, è volgare e becero. Il bravo giornalista, adeguandosi al linguaggio comune, dovrà parlare di «madre surrogata».

Eccetera, eccetera, eccetera. Sinceramente, alla fine dello studio ho avvertito un forte senso di spaesamento. Io ho sempre creduto che in questa professione, con gli omosessuali come con gli eterosessuali, con i bambini come con gli anziani, con i bianchi come con i neri, con gli uomini come con le donne, con tutti quanti servisse prima di tutto e sopra a tutto un grande rispetto. Ancora una volta, devo ricredermi.

Come all'epoca in cui lo spazzino è diventato operatore ecologico, l'handicappato diversamente abile e il cieco non vedente, ho capito che in Italia bisogna soltanto mettersi in riga e sciacquarsi la coscienza con massicce overdose di politicamente corretto. L'importante è che ci sentiamo a posto con la forma. Per la sostanza, se ne riparla in un'altra vita.

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