Il gip si accanisce su Schifani Nuove indagini per mafia

La procura di Palermo chiede il proscioglimento dopo anni senza riscontri, ma il giudice ordina di ascoltare altri 7 pentiti

Renato Schifani in Senato chiede una sospensione dei lavori
Renato Schifani in Senato chiede una sospensione dei lavori

Sette pentiti. Sette mafiosi che finora non hanno mai parlato anche se i fatti sono vecchi, vecchissimi e risalgono addirittura a vent'anni fa. Non importa. Per il gip di Palermo Piergiorgio Morosini, quello della trattativa Stato-mafia ma anche ex segretario nazionale di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, bisogna consultarli per scoprire se per caso non sappiano qualcosa. Chissà, a volte la memoria, se opportunamente sollecitata, può fare prodigi. Per ora, dunque, niente archiviazione per l'ex presidente del Senato Renato Schifani. Attenzione: la procura di Palermo aveva indagato su di lui per due anni ipotizzando il più classico dei reati sul fronte di Cosa nostra, il concorso esterno, ma poi aveva chiesto l'archiviazione davanti alla mancanza di certezze investigative. Un atto firmato, fra gli altri, da Antonio Ingroia, oggi uscito polemicamente dalla magistratura. Ma Morosini ha scavalcato l'accusa, anzi l'ha bacchettata ordinando nuove indagini e gli interrogatori dei sette «oracoli». Tempo concesso: 120 giorni. Poi si vedrà.

Schifani resta sulla graticola e incassa molti messaggi di solidarietà del suo partito. A cominciare da quello di Silvio Berlusconi: «Sono vicino all'amico Renato e sicuro della sua estraneità dopo l'inaspettata decisione del gip di Palermo che ha disposto approfondimenti istruttori su fatti che risalgono a vent'anni fa, nonostante la richiesta di archiviazione sostenuta e motivata dalla procura di Palermo».
«Dopo tre anni di indagine sulla mia persona - afferma Schifani - mi sarei aspettato che il gip accogliesse la motivata richiesta di archiviazione della Procura di Palermo e ribadita in udienza. Tuttavia gli approfondimenti istruttori disposti dal gip non potranno che confermare la mia totale estraneità a rapporti collusivi con esponenti mafiosi».

Per ora però l'ex numero due dello Stato dovrà pazientare. La storia, innescata ormai molti anni fa dalle dichiarazioni di un politico di piccolo calibro dell'Udc, Francesco Campanella, poi pentitosi, non accenna a finire. A suo tempo Campanella aveva puntato il dito contro lo Schifani avvocato: fra 94 e il 96 il legale, amministrativista, avrebbe triangolato con gli uomini di Cosa nostra per mettere le mani sul comune di Villabate, in provincia di Palermo, e modificare il piano regolatore favorendo alcune famiglie di Cosa nostra. Schifani aveva querelato Campanella e alla fine i giudici di Firenze gli avevano dato ragione sostenendo che i fatti non erano veri. Ma Campanella aveva presentato a sua volta un esposto a Palermo e aveva così messo in moto un'altra indagine. Un'inchiesta che non ha trovato i riscontri necessari e alla fine si è arenata. Un fascicolo in cui sono confluite anche le parole di un altro pentito eccellente, Gaspare Spatuzza, che però è rimasto sul vago: nei primi anni Novanta aveva visto Schifani entrare nel capannone di un suo cliente in cui talvolta trovava rifugio anche un boss come Filippo Graviano. Ma Spatuzza aveva aggiunto due dettagli fondamentali: non aveva mai incontrato i due insieme, di più non poteva nemmeno affermare di aver incrociato Schifani dalle parti del capannone nello stesso giorno in cui c'era anche Graviano. Suggestioni nouvelle vague su episodi di vent'anni fa. Come la frase orecchiata da un altro collaboratore di giustizia, Stefano Lo Verso, che avrebbe sentito un altro mafioso dire più o meno: «Abbiamo in pugno Schifani, Dell'Utri, Cuffaro, Romano».

Ma ora la partita si riapre, con una sorta di sondaggio fra i pentiti che pure avrebbero avuto tutto il tempo - che la legge peraltro limita a 180 giorni, poi puntualmente annacquati dalla giurisprudenza - per mettere in mezzo Schifani. Una circostanza che l'ex presidente del Senato mette in rilievo: «I collaboratori di giustizia indicati dal gip nella sua ordinanza di integrazione di indagine, nel corso di tutti questi lunghissimi anni hanno reso numerosi interrogatori e sottoscritto protocolli di collaborazione nei quali non hanno mai fatto riferimenti alla mia persona».
Non importa. Non è mai troppo tardi: le domande verranno poste nelle prossime settimane.

In testa alla lista c'è Nino Giuffrè, capo del mandamento di Caccamo e dunque esperto per quel che riguarda Villabate; e poi, sul fantasma di Graviano, Giovanni Drago e Tullio Cannella, del mandamento di Brancaccio. Insomma, si passa dal «non poteva non sapere» al «potrebbe (il pentito) anche sapere qualcosa».

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