È il giorno della verità nella grande partita per il Quirinale. O almeno della «prima verità», quella che uscirà fuori dalle indicazioni che il Pdl in tarda mattinata e il Pd in serata comunicheranno a deputati e senatori nelle rispettive riunioni dei gruppi parlamentari.
Le diplomazie dei partiti sono al lavoro per tentare di dipanare una matassa che, nonostante gli sforzi, continua a essere intricatissima. I pontieri cercano una mediazione ma alla luce delle indecisioni del Pd è difficile arrivare alla stretta finale. «Purtroppo eravamo vicini a una quadratura su Giuliano Amato», spiega un dirigente del Pdl «ma Bersani fatica a decidersi». Sull'ex presidente dell'Antitrust sembrava ci fosse stato anche il via libera di Matteo Renzi - tra i due lunedì ci sarebbe stato un colloquio - e anche Scelta Civica ha fatto sapere, tramite Andrea Olivero, di essere pronta a convergere sul suo nome. Le sue quotazioni, però, sono adesso in stand-by. Chi, invece, resiste è Massimo D'Alema. Anche perché se in seconda o in terza votazione il Pdl iniziasse a votarlo, sarebbe difficile per il partito di Via del Nazareno tirarsi indietro e rifiutare di mettere in campo i propri voti per un candidato che è stato segretario del Pds e presidente dei Ds.
È proprio l'indecisione che regna al Nazareno l'ostacolo maggiore nel percorso di mediazione tra centrodestra e centrosinistra. I diplomatici all'opera sono tanti e non è detto che si muovano tutti nella stessa direzione: il segretario, è noto, affida soprattutto a Maurizio Migliavacca e Vasco Errani il compito di sondare il terreno dalle parti del Pdl e della Lega, ma anche il vicesegretario Enrico Letta si tiene in contatto con il segretario Pdl Angelino Alfano. E se Letta è uno dei grandi sostenitori della larga condivisione intorno al nome del nuovo presidente, la posizione di Bersani è oggetto di letture diverse.
Il segretario del Pd vorrebbe tenere in caldo il nome di un outsider con cui eventualmente sparigliare dalla terza o dalla quarta votazione. Girano i nomi di due giudici costituzionali come Sergio Mattarella e Sabino Cassese ma anche di un altro giurista di alto livello come Giuseppe Tesauro. Tutt'altro che tramontata è anche la linea di rottura con il Pdl che porta al nome di Romano Prodi (in queste ore Arturo Parisi starebbe tentando di tessere la trama per conto del Professore, con qualche sondaggio anche in area Pdl). La novità di giornata è rappresentata, però, dal risultato delle Quirinarie del Movimento 5 Stelle. Una consultazione che ha prodotto l'altra candidatura «antagonista»: quella di Stefano Rodotà, il nome forse in assoluto meno gradito dalle parti di Via dell'Umiltà. «Chi ci assicura che alla fine Bersani non si farà riconquistare dalle sirene dell'ambizione personale e non proverà a spendere Rodotà come moneta di scambio per ottenere la fiducia in Parlamento?», si chiede il dirigente azzurro. Difficilmente, però, Bersani potrebbe decidere di convergere su un candidato non proposto dal Pd, dando così apertamente l'impressione di scendere a patti con i grillini per ragioni di potere. Così come non praticabile viene giudicata da Pdl, Pd e Scelta Civica l'opzione Milena Gabanelli, sempre indicata dalle votazioni pubbliche dei simpatizzanti dell'M5S. Stesso discorso vale per Emma Bonino sulla quale le resistenze dei cattolici, sia del Pdl che del Pd, non sembrano superabili. Così come appaiono in discesa le quotazioni di Franco Marini.
Naturalmente se dopo la prima e seconda votazione si dovesse continuare a veleggiare al buio e non si individuasse alcun approdo condiviso, tutto potrebbe accadere.
E nessuno si sente di escludere la mozione della continuità, ovvero una ambasciata rivolta all'attuale inquilino del Quirinale affinché accetti una proroga di due anni del suo mandato. Un reincarico a tempo che potrebbe servire a risolvere il rebus, a uscire dallo stallo e a togliere i partiti dall'impaccio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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