Amati no, non si sono mai amati, al di là dei sorrisi di facciata in occasione delle manifestazioni antimafia. Troppo prime donne, entrambi. Troppo simili come formazione, e infatti si sono contesi la Procura nazionale antimafia. Troppo diversi, nel profondo, come magistrati: l'uno, Gian Carlo Caselli, procuratore capo nella Palermo ferita del dopo stragi del '92, il padre dei processi per mafia alla politica, per tutti quello contro Giulio Andreotti, il processo del secolo finito in flop, imbastiti per lo più con le dichiarazioni dei pentiti; l'altro, Pietro Grasso, già giudice a latere del primo maxi processo a Cosa nostra, clamoroso quanto quello al divo Giulio, procuratore a Palermo subito dopo Caselli, prudente e legato alla scuola del vecchio amico Giovanni Falcone tutta riscontri e prove, che i pentiti servono sì, ma senza prove poi i processi si perdono e Grasso no, non ama perdere.
Cova già da una quindicina d'anni lo scontro di oggi. E invece, con una virulenza che fa il paio solo con la guerra istituzionale divampata qualche mese fa tra il Quirinale e la procura di Palermo, la rissa esplode ora, a scoppio ritardato: Grasso non è più magistrato ma presidente del Senato; Caselli è procuratore, della sua Torino. Lo spettacolo che va in scena non è tra i migliori. Da un lato il neo presidente del Senato, che per difendersi dalle accuse di Marco Travaglio, in tv, a Piazza Pulita, spara sugli insuccessi della giustizia spettacolo dei processi politici. Dall'altro il procuratore di Torino, che si riconosce nell'identikit e denuncia la seconda carica dello Stato al Csm, chiedendo al vicepresidente Michele Vietti, di intervenire a sua tutela.
Et voilà, lo scontro è servito. Oggi viaggia tra Roma e Torino ma virtualmente abita a Palermo, in quel Palazzo di Giustizia ribattezzato Palazzo dei Veleni sin dai tempi di Giovanni Falcone. A Palermo Grasso, dopo Caselli, non ha avuto vita facile. I «caselliani» non hanno mai potuto soffrire la sua prudenza, il suo «no» ai teoremi senza prove. Un esempio? La vicenda Cuffaro, nel 2004: Grasso fu attaccato perché non volle accusare l'allora governatore di concorso esterno in associazione mafiosa ma di favoreggiamento aggravato. Risultato pratico: dal «concorso esterno» Cuffaro è stato assolto, ma è in carcere a scontare la pena definitiva per favoreggiamento.
È, in fondo, la filosofia che Grasso illustra in tv. «Questo tipo di processi dice a proposito dei dibattimenti politici, citando uno dei suoi maestri, il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto è sbagliato perché seppur spettacolari sono quelli che portano alle controriforme contro i magistrati, con ritorsioni che danneggiano il funzionamento della giustizia. Pensare a inchieste come una gogna pubblica, efficace perché distrugge una carriera politica, è una deviazione della funzione delle indagini. È anticostituzionale perché la Costituzione dà il potere al magistrato di indagare in funzione del processo». Processi da gogna pubblica? Quali sono, chiede Corrado Formigli. «Ci sono stati replica Grasso dei processi che hanno certamente portato all'arresto di imputati che poi sono finiti con assoluzioni. Ma non mi va di fare dei nomi che tra l'altro tutti sanno e conoscono. Non sarebbe elegante...».
Il nome non viene fatto. Ma Caselli si riconosce, eccome se si riconosce. «Il presidente del Senato Pietro Grasso denuncia al Csm si è prodotto in un lunghissimo monologo contenente accuse e allusioni suggestive, con il risultato di prospettare in maniera distorta vari fatti e circostanze afferenti la mia attività di magistrato. Segnalo che il comportamento risulta ancor più delegittimante nei miei confronti per il fatto di essere stato tenuto nel giorno stesso in cui veniva pronunziata dalla Corte d'appello di Palermo sentenza di condanna nei confronti di Marcello Dell'Utri, sentenza relativa a procedimento avviato dalla procura di Palermo quando il sottoscritto ne era a capo». Di qui la richiesta «di essere adeguatamente tutelato». La lettera, fa sapere il Csm, non è ancora arrivata.
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