I crucci di Mr Ferrari: troppi dinosauri dc e il flop nei sondaggi

Montezemolo non è entusiasta del progetto montiano Partito per vincere si vede costretto agli accordi col Pd

Luca Cordero di Montezemolo
Luca Cordero di Montezemolo

Raccontano i testimoni che uscendo da Palazzo Chigi mercoledì Luca Cordero di Montezemolo non fosse il ritratto della felicità. Eppure era appena reduce dalla start-up del tanto sognato polo dei moderati, con tanto di mantello di Mario Monti a coprire tutti, belli e brutti. E allora, perché quel malumore? Perché il presidente della Ferrari il suo ingresso in politica se lo era immaginato un po' diverso. Sì, certo, il Professore ci sarà, così come lui aveva invocato. Eppure troppe cose non vanno. E chi gli è vicino ha il sospetto che se non fosse andato già troppo avanti sulla strada verso Montecitorio, farebbe marcia indietro.

I dubbi di Montezemolo sono tanti. Il primo ha a che fare con la sua indole da vincente: da presidente della scuderia numero uno al mondo, è abituato a correre per vincere. Partecipare non è il suo hobby, de Coubertin non è il suo genere, e non è un caso se gli sport motoristici sono da sempre fuori dalle Olimpiadi. Eppure il Terzo polo, la federazione montiana, il grande centro, il rassemblement dei moderati, il partito dell'agenda, chiamatelo come vi pare, non sembra destinato a sfondare. I più ottimisti al momento pensano a un 20 per cento, che farebbe uscire la coalizione forse seconda, probabilmente terza dalle urne il prossimo 24 febbraio. E pensare che nella primavera scorsa Montezemolo si rigirava tra le mani un sondaggio riservato che collocava un'eventuale lista ispirata a Italia Futura addirittura al 24 per cento. Oggi malgrado l'alleanza con Udc, Fli ed ex Fli, malgrado il ministro Andrea Riccardi e l'appena dimesso presidente dell Acli Andrea Olivero garantiscano la benevolenza del mondo cattolico, malgrado il mantello di Monti, il target elettorale è molto più basso. Non sarà che l'effetto-Monti sulle prossime Politiche è stato sopravvalutato?

Ma tanti altri sono i crucci del signor Cavallino rampante. «Verso la Terza Repubblica» nasce come un partito espressione della società civile, lontano dalle liturgie cardinalizie della vecchia politica. Velleità già discutibile, essendo il leader un sessantacinquenne sulla breccia da quattro decenni che nella vita ha fatto di tutto, da assistente di Enzo Ferrari a manager della Fiat, da organizzatore dei Mondiali del 1990 a dirigente della Juventus, da presidente di Confindustria a presidente di Telethon. Un curriculum stellare, ma non proprio il nuovo che avanza. Ma peggio è voler fondare la Terza Repubblica in compagnia di molti vecchi arnesi della Prima, da Pier Ferdinando Casini a Mario Tassone, da Beppe Pisanu a Rocco Buttiglione, da Lorenzo Cesa a quel Gianfranco Fini di allearsi con il quale a Montezemolo non va proprio giù. E meno male che Clemente Mastella, il re del trasformismo politico accostato nei giorni scorsi al polo centrista, ha smentito tutto. Giurano che Montezemolo abbia tirato un grande sospiro di sollievo, anche se il ras di Ceppaloni ci ha tenuto a far sapere che in Italia sarebbe ancora un cavallo di razza. Contento lui.

Insomma, l'operazione novità rischia di nascere già vecchia, pur se Montezemolo si sbatterà fino all'ultimo per estorcere almeno un cambiamento parziale ai suoi alleati. Ma il peggio potrebbe essere dopo il voto, con un centrosinistra a rischio anatra zoppa, magari vincente alla Camera ma senza maggioranza al Senato.

Allora a Montezemolo e ai suoi toccherebbe correre in soccorso dei (mezzi) vincitori, con un'alleanza che blinderebbe a Palazzo Chigi l'agenda Monti ma porterebbe il ferrarista a fare comunella con postcomunisti e comunisti senza il post. Capito perché Montezemolo in queste ore si stia domandando chi glielo abbia fatto fare?

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