Dopo Giovanni Paolo II che abbatté il muro di un millenario pregiudizio definendo gli ebrei «nostri fratelli maggiori» nel corso della sua storica visita alla Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, ieri Papa Francesco ha definito i musulmani «nostri fratelli» nell'Angelus a Piazza San Pietro rivolgendo loro un messaggio in occasione della festa della fine del Ramadan, il mese del digiuno islamico. Ebbene, se è indubbio il legame teologico tra ebraismo e cristianesimo dato che Gesù era ebreo e il cristianesimo fa proprio l'Antico Testamento, all'opposto l'islam - affermatosi 7 secoli dopo - si fonda sulla negazione della verità divina dell'ebraismo e del cristianesimo concependosi come la religione che rettificherebbe le loro devianze, completando la rivelazione e suggellando la profezia.
Se «nostri fratelli» fosse usato in senso lato riferito alla nostra comune umanità le parole del Papa sarebbero ineccepibili. Ma se «nostri fratelli» è calato in un contesto teologico allora si scade nel relativismo religioso che annacqua l'assolutezza della verità cristiana mettendola sullo stesso piano dell'ideologia islamica che è fisiologicamente violenta al punto da non concepire Allah come «padre» e i fedeli come «figli», bensì come un'entità talmente trascendente da non poter neppure essere rappresentata e nei cui confronti dobbiamo esclusivamente totale sottomissione. Solo nell'ebraismo e soprattutto nel cristianesimo, la religione del Dio che si è fatto uomo e dell'uomo concepito a immagine e somiglianza di Dio, Dio è padre, noi tutti siamo suoi figli e tra noi siamo fratelli.
Papa Francesco all'Angelus dopo aver sostenuto che il cristiano «è uno che porta dentro di sé un desiderio grande, profondo: quello di incontrarsi con il suo Signore insieme ai fratelli, ai compagni di strada», ha rivolto «un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan, dedicato in modo particolare al digiuno, alla preghiera e all'elemosina». Se i musulmani sono «nostri fratelli» e se la missione del cristiano è «incontrarsi con il suo Signore insieme ai fratelli», ci troviamo di fronte a un quadro teologico che mette sullo stesso piano cristianesimo e islam, considerandoli come due percorsi diversi ma che conducono entrambi allo stesso Dio.
Nel suo messaggio ai «musulmani del mondo intero» del 10 luglio, il Papa ha scritto: «Venendo ora al mutuo rispetto nei rapporti interreligiosi, specialmente tra cristiani e musulmani, siamo chiamati a rispettare la religione dell'altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori», specificando «senza fare riferimento al contenuto delle loro convinzioni religiose». Francesco aggiunge: «Uno speciale rispetto è dovuto ai capi religiosi e ai luoghi di culto. Quanto dolore arrecano gli attacchi all'uno o all'altro di questi!». Ebbene se si mette sullo stesso piano cristianesimo e islam concependole come religioni di pari valenza e dignità senza però entrare nel merito dei loro contenuti, così come se si denuncia la violenza che si abbatte contro i capi religiosi e i luoghi di culto senza specificare che si tratta della violenza islamica ai danni dei cristiani, il risultato è che il Papa da un lato legittima l'islam che si concepisce come l'unica vera religione e, dall'altro, mostra arrendevolezza nei confronti del terrorismo e dell'invasione islamica che dopo aver sottomesso all'islam le sponde meridionale e orientale del Mediterraneo stanno ora aggredendo la nostra sponda settentrionale.
Il relativismo religioso è evidente anche nel messaggio rivolto dal cardinale Angelo Scola ai musulmani lo scorso 8 agosto in cui si legge: «La fedeltà ai precetti delle nostre rispettive tradizioni religiose, quali la preghiera e specialmente il digiuno da voi osservato nel mese di Ramadan, ci infonda fiducia e coraggio nel promuovere il dialogo e la collaborazione intesi come frutto necessario dell'amore di Dio e del prossimo, i due pilastri biblici e coranici di ogni autentica spiritualità». Concepire una continuità e un raccordo teologico tra ebraismo, cristianesimo e islam fondato sull'amore di Dio e del prossimo, è solo un auspicio contraddetto giorno dopo giorno dai fatti.
Il caso di padre Paolo Dall'Oglio, gesuita come il Papa, acceso relativista che ha a tal punto sostenuto la causa dell'islamizzazione della Siria da essere stato cacciato dal governo di Assad ma che ciononostante è stato sequestrato dai terroristi islamici siriani, ci conferma che gli islamici non rinunceranno mai a sottomettere i cristiani, gli ebrei, gli infedeli all'islam così come impongono loro Allah nel Corano e Maometto. Proprio ieri, mentre il Papa a Roma definiva i musulmani «nostri fratelli», i musulmani in Egitto hanno bruciato una chiesa e 17 case di cristiani. Mentre la fine del Ramadan in Irak è stata festeggiata dai terroristi islamici sunniti con 10 autobombe causando la morte di 70 persone.
Certamente il cristianesimo e la nostra comune umanità ci portano ad amare il prossimo a prescindere dalla sua fede,
ideologia, cultura o etnia, ma l'adozione del relativismo religioso si traduce nel suicidio del cristianesimo e della nostra civiltà che ha generato i diritti fondamentali della persona e la democrazia.twitter@magdicristiano
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