I Pm processano il giudice: "Doveva mandarlo in galera"

Dopo il procuratore Bruti Liberati anche il magistrato di Sorveglianza finisce accerchiato dai colleghi di Milano: "Sbagliato dare i domiciliari al direttore"

Il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati
Il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati

L' ordine di arresti domiciliari spiccato nei confronti di Alessandro Sallusti non placa e anzi rinfocola le polemiche interne alla magistratura: che ormai hanno esondato dalle mura del Palazzo di giustizia di Milano e invaso il mare aperto dei siti internet dove quotidianamente le toghe si confrontano. Il procuratore Edmondo Bruti Liberati esce vincente da questo passaggio: la sua scelta di disinnescare il caso, proponendo d'ufficio il direttore del Giornale -contro la sua stessa volontà - per gli arresti domiciliari anziché per il carcere, viene ratificata dal giudice di sorveglianza. Ma ciò non attutisce l'eco del caso. Anzi.
Dal fronte dei «duri» viene ribadita contro Bruti l'accusa di avere trattato il caso con un occhio di riguardo, avocando a sé il fascicolo, riservando al giornalista un trattamento diverso da quello che viene quotidianamente riservato ai detenuti comuni. I duri finiscono cioè a trovarsi in singolare sintonia con Sallusti, il quale fin dall'inizio ha chiesto di non ricevere privilegi non concessi agli altri condannati.
Da tempo non si vedeva un Procuratore capo della Repubblica, oltretutto esponente di spicco di Magistratura democratica, nonché ex segretario dell'Anm e membro del Csm, venire bombardato in questo modo. Su una delle mailing list delle correnti, ieri viene lanciato su Bruti l'anatema più esplicito: «Aveva ragione chi diceva che era l'uomo giusto al posto giusto». Tradotto per i profani: l'uomo «giusto» per il potere politico, il magistrato in grado di ascoltare le pressioni del Palazzo e non solo i commi della legge. E viene rispolverato il peccato originario di Bruti: essere diventato procuratore di Milano anche con i voti del centrodestra. Un peccato originario che evidentemente nemmeno due anni di inchieste a testa bassa contro Berlusconi sono riusciti ad emendare. L'attacco contro Bruti Liberati per non avere immediatamente spedito in cella Sallusti è così aspro che in difesa del procuratore deve scendere in campo Ezia Maccora, altra figura storica di Md ed ex membro del Consiglio superiore, per definire gli attacchi «ingenerosi» e non rispettosi della storia professionale di Bruti.
Dopo avere agitato (invano) il palazzo della politica ora il caso Sallusti scuote i palazzi di giustizia. Cuore della polemica resta il palazzaccio di Milano, anche perché è qui che si gioca il futuro giudiziario del direttore del Giornale: un futuro tutt'altro che prevedibile, dopo che Sallusti ha annunciato di voler chiedere la revoca del provvedimento emesso ieri dal giudice Brambilla. L'annuncio dell'istanza ha ridato fiato al folto versante di chi, tra le toghe milanesi, vorrebbe vedere al più presto Sallusti dietro le sbarre: se non altro come forma di par condicio verso gli altri detenuti. Da questo versante sono venute critiche esplicite anche contro il giudice Brambilla, colpevole - secondo i suoi critici - di essersi tratto troppo facilmente d'impiccio, limitandosi a dichiarare ammissibili gli arresti domiciliari proposti da Bruti, senza affrontare le tante irregolarità della soluzione escogitata solo per questo caso.
L'istanza di revoca preannunciata da Sallusti riapre di fatto i giochi. E dal fronte dei «duri» è già pronta la risposta alla domanda: «Cosa succede adesso?».

Succede, spiegano, che il tribunale di Sorveglianza non potrà che accogliere la richiesta del giornalista, perché questo avviene in tutti i casi in cui è il condannato a preferire il carcere ai domiciliari, magari perché non sopporta la suocera. E a quel punto, dicono, Bruti Liberati dovrà rassegnarsi ad accontentare Sallusti e a spedirlo in prigione.

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