I rom rubano indisturbati però è vietato fotografarli

Il nostro cronista è stato minacciato perché voleva documentare quello che accade a Roma Termini. Ecco come le bande continuano a molestare turisti e pendolari

I rom rubano indisturbati però è vietato fotografarli

Raccontare un martedì come tanti a Roma Termini è un'esperienza urbana piuttosto pericolosa. In un questionario barreremmo la casella: da abbastanza a molto. Più o meno come il bungee-jumping, ma almeno quello puoi raccontarlo agli amici. Qui a mettere il naso in giro diventi sospetto, sei guardato strano, dopo un po' capisci da te che è meglio cambiar aria. A fotografare con il tablet, poi, dribbli le ire dei vigilanti, che vorrebbero farti rispettare un regio (regio!) decreto del 1941, ma incorri in quelle più funeste dei veri padroni della stazione. A un certo punto, davanti alle biglietterie, vieni abbordato da un tipo deciso in maglia beige. E non vuole farti i complimenti per la trasmissione.
«Tu mi hai fotografato», dice.
«No», rispondi mentendo.
«Sì, mi hai fotografato. Fa' vedere, cancella la foto».
«Non ci penso nemmeno».
«Sei giornalista? Guarda che chiamo la polizia». (Ti accorgi all'improvviso di essere nell'unico punto visibile da Google Earth in cui gli agenti sono il babau per quei poco di buono degli scribacchini e non per chi tiene un'intera stazione in ostaggio. Come fanno a Roma i rom).
Sono dappertutto. Quando i tuoi occhi non allenati si sintonizzano alla fine sul loro ritmo sono uno spettacolo a suo modo affascinante. Istruttivo. Sono decine. Si muovono con sapienza. Ognuno ha il suo compito e si vede. Si mimetizzano. Le donne non hanno gonne lunghe e bambini al collo, ma indossano jeans, sandali, vezzose canottierine da H&M. Gli uomini jeans, magliette, sneaker. Dress code da periferia acida. Ti concentri sulle donne, bassa manovalanza della pirateria urbana. Sono formichine operose a caccia di opportunità. Si scambiano sguardi, si segnalano possibili polli da spennare, si uniscono in gruppi e si disperdono in un battito di ciglia. Alcune hanno in mano un biglietto spiegazzato, che dovrebbe accreditarle come viaggiatrici. Ma non partono e non tornano. Sono sempre lì, sempre le stesse, giorno dopo giorno.
Nella più grande stazione ferroviaria d'Italia si agitano soprattutto attorno alle biglietterie automatiche, a cui tanti viaggiatori ricorrono per sfuggire alla fila biblica di quella analogica, che pare un cerchio dantesco: avidi; omicidi; scialacquatori; barattieri; falsari; iracondi; pendolari (ahiloro).
Le giovani donne rom dragano con costanza i totem di Trenitalia. Si propongono con insistenza per un aiuto al viaggiatore sprovveduto, innervosito o frettoloso. Sperano di ricavarne in cambio la moneta di resto. Ma soprattutto scannerizzano l'apertura del portafogli dell'esemplare di homo turisticus (ultimo anello della loro catena alimentare), per capire se val la pena di seguirlo e provare ad alleggerirlo.
Ammettilo, nelle due ore trascorse a Termini non assisti ad alcun reato, a parte la mezza minaccia di cui sopra, che hai dovuto gestire con freddezza apparente, ché la paura nella guerra urbana è come il sangue per gli squali: ti rende preda. Però no: nessuno scippo, nessun furto, nessuna violenza. Ma forse hai assistito a qualcosa di peggio. Alla sistematica, ordinaria cancellazione di ogni sicurezza, di ogni tutela. Alla minaccia come regola. Al preciso svolgersi di un sistema organizzato per far cadere in trappola chiunque commetta il minimo errore. Termini non è un Paese per vecchi. Per disabili. Per distratti. Per malaccorti. Per ingenui. Per sventati. Per cuori deboli.
Dici: c'è la polizia. Effettivamente le giovani rom non gradiscono le divise. Ma è come cacciare le mosche con le mani: finché le agiti scappano, appena smetti ecco che tornano. Due agenti passano, fanno la faccia cattiva e le rom evaporano. Ma è un attimo. Le guardie della vigilanza non sono una minaccia, invece.

Con le rom scherzano col piglio cameratesco di condivide il luogo di lavoro e quindi è costretto ad andare in qualche modo d'accordo. Una rom fuma. È vietato, eccheccavolo. Lo fai notare al vigilante a busta paga di Grandi Stazioni ed egli ti risponde: «E 'o so. Noi jelo dimo. Ma quelle fanno come je pare. E noi nun potemo fa' gnente». Ah, ecco.

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