È il nuovo che avanza. Ma a volte sembra il vecchio che giocava con le parole, le formule, le sfumature. Così capita che pure una grillina, per di più una grillina emergente, pura e immacolata, debba ammettere che non è tutto oro quello che luccica. Pareva un fenomeno Marta Grande, nata a Civitavecchia nel 1987, sorridente neodeputata a 5 Stelle acqua e sapone, lanciata come un razzo verso la candidatura a presidente della Camera. Il lettore medio rischiava di perdersi nel suo curriculum intimidente e sfavillante di titoli e master con rimbalzi ad alta concentrazione di cultura fra Roma, Pechino e gli Stati Uniti. Invece, la bussola, in tutto quel girare e rigirare, l'ha persa lei. L'altra sera, al momento della certificazione in Parlamento degli studi effettuati, la superdottoressa è costretta a riconoscere che, stringi stringi, lei non ha in tasca un titolo che in Italia possa essere considerato come una laurea. No, una laurea in tutto quel diluvio di sapienza non c'è. Sarà un problema di compatibilità fra i pezzi di carta recuperati a Pechino e Huntsville e la legislazione italiana, sarà questione di tempo perché la signorina è in zona tesi anche nel nostro Paese, sarà quel che sarà, però la parlamentare si deve dare una bella ridimensionata. E la sua corsa verso lo scranno più alto di Montecitorio sfuma con una brutta figura. Anzi, una figuraccia.
Marta Grande, volto di una nuova leva di deputati e senatori che dovrebbero riconciliare gli italiani con il Palazzo, si ritrova invischiata in una storia che sembra uscita dal libro nero della casta. E finisce nello stesso girone di Oscar Giannino e Guido Crosetto che si erano spacciati per dottori senza esserlo. Il caso Giannino, poi, si era rivelato quasi incredibile: con l'invenzione di due lauree, un master e, per non farsi mancare niente, pure una fantomatica partecipazione allo Zecchino d'oro, smentita da un indignato Mago Zurlì. La vicenda Grande è, per quel che si capisce, meno grave e in fondo si potrebbe catalogare la sua presunzione come un peccato veniale. Però anche lei, come molti dei colleghi che l'hanno preceduta, butta polvere negli occhi dei cittadini che l'hanno votata.
Il suo curriculum parlava chiaro e addirittura metteva in soggezione chi l'avesse scorso: «Mi laureo nel 2009 in lingue e commercio internazionale presso l'università dell'Alabama in Hunstville. Successivamente, tornata in Italia, conseguo un master in studi europei nel 2010 e attualmente mi sto laureando in Relazioni internazionali presso l'università RomaTre. Nell'estate del 2012 seguo un corsa di relazioni internazionali alla Peking University in Cina, in particolare sulla transizione di potere a livello internazionale». Chi ascolta è sballottato come un turacciolo fra master, lauree, studi specialistici. Come l'ennesima tesi, in svolgimento nella Capitale, in «storia della politica internazionale contemporanea».
Ma tutte queste medaglie appuntate sul petto non bastano per potersi fregiare di quel titolo di studio chiamato laurea. Uno scivolone, anzi un doppio ruzzolone, che le costerà caro.
Nei giorni scorsi si era fatto il suo nome come di quello scelto fra le agguerrite truppe grilline per correre verso il vertice di Montecitorio. Lei si era trincerata dietro una cortina fumogena: «Io presidente della Camera? Sono solo rumors, l'ho letto sui giornali». Poi il pasticcio alla Giannino ha bruciato i suoi sogni di gloria. E ha bloccato i suoi minuetti.
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