La materia che stiamo per trattare è scottante e va presa con le pinze, tanto più in questo momento. Ci riferiamo all'Ilva di Taranto, accusata di produrre un inquinamento micidiale a causa del quale sarebbero morte centinaia e centinaia di persone: cancro ai polmoni. La fabbrica, tra le più importanti d'Europa nel settore dell'acciaio, rischia addirittura di fare una brutta fine: è in corso un'inchiesta della magistratura, dalle cui carte emerge una situazione drammatica tale che, se fosse confermata da una sentenza di condanna, la speranza di salvare l'azienda si ridurrebbe al lumicino.
Naturalmente noi non abbiamo le conoscenze scientifiche necessarie per esprimere giudizi in merito. Ma leggendo i documenti abbiamo constatato alcune incongruenze tali da suscitare dubbi sulla fondatezza delle responsabilità attribuite ai gestori dello stabilimento. Tra l'altro, nei giorni scorsi il commissario dell'Ilva, nominato dal governo, Enrico Bondi (già collaboratore dell'ex premier Mario Monti e risanatore della Parmalat) ha inviato una lettera ai vertici della Regione Puglia in cui, riassumendo le osservazioni di quattro consulenti dell'impresa, fa notare che non esistono prove certe che l'elevato numero di decessi sia rapportabile alle cosiddette polveri sottili emesse dagli impianti industriali.
Non l'avesse mai fatto: Bondi è stato travolto dalle critiche. Vari partiti, tutti impegnati in una gara a chi è più ambientalista, si sono sollevati all'unisono per protestare contro il commissario reo di aver contraddetto le tesi colpevoliste. Essi non hanno tenuto conto che Bondi era considerato all'unanimità l'uomo più adatto alla luce del suo impeccabile curriculum, a risolvere i problemi. Non siamo in grado di accertare se abbia ragione lui o il gruppo dei suoi improvvisati detrattori: rimane il fatto che chiunque osi manifestare perplessità sull'effettiva dannosità delle scorie dell'Ilva viene messo al bando quale complice di Sorella Morte, benché la discussione sull'inquinamento a Taranto sia circoscritta all'ambito delle ipotesi.
Spulciando tra gli atti dell'inchiesta è difficile dare torto a Bondi: essi sono disseminati di contraddizioni meritevoli di attenzione. La più grossolana è contenuta in una perizia acquisita dall'Ufficio del giudice per le indagini preliminari, Patrizia Todisco, dove si legge che i morti per cause naturali sono stati, in tredici anni, 386, un dato impressionante. Peccato che in un altro punto della documentazione si scopra che, invece, 140 dei 386 decessi denunciati, siano attribuibili a cause non naturali: cioè dovuti a incidenti stradali, suicidi eccetera. Le cifre sono state alterate di sicuro in buona fede, ma ciò non giustifica l'errore, soprattutto non giustifica la mancata correzione del medesimo, visto che le conclusioni sono state tratte dal quadro statistico falsato.
In un'altra perizia ordinata dal Tribunale si sostiene che le sostanze nocive per essere tollerabili non devono superare il limite di 20 milligrammi per metro cubo, come raccomanda - o sogna - l'Organizzazione mondiale della sanità. Ma uno degli stessi autori, in un altro documento riguardante una consulenza richiesta dalla Regione Lombardia, afferma che la media annua e tollerabile delle polveri sottili è di 40 milligrammi per metro cubo, esattamente come recita la disposizione europea tramutata in legge dall'Italia.
Da sottolineare che la media delle sostanze tossiche emesse dall'Ilva non è mai andata oltre il limite fissato dalla citata legge. Quindi non si capisce in che cosa consistano le presunte violazioni commesse dalla fabbrica in questione. Immagino che le obiezioni di Bondi - che non è l'ultimo arrivato - sorgano anche dagli elementi che abbiamo riportato in sintesi e con un linguaggio semplice. C'è da aggiungere, per rimarcare la confusione regnante in questo campo, una curiosità. Legambiente, nel 2012, ha elaborato una ricerca su scala nazionale relativamente al Pm10 (polveri sottili) da cui si evince che, nella classifica delle città più inquinate, Taranto figura al 46° posto. Milano, per intenderci, è in vetta insieme con Torino, seguite da Verona, Alessandria e Monza.
L'incidenza delle sostanze tossiche presenti nell'atmosfera sulla mortalità non è mai stata misurabile né lo sarà, presumibilmente, per parecchio tempo ancora.
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