Roma - Recita il teorema di Woodcock: quando un cittadino è indagato da un magistrato giustamente si preoccupa, ma quando a indagarlo è la toga anglo-napoletana si preoccupa molto meno. Perché le probabilità di un proscioglimento o di un'assoluzione sono assai alte. È il curriculum di Woodcock a dirlo, non certo noi. Le sue inchieste sono spesso spettacolari e ancora più spesso si concludono con un buco nell'acqua. Nascono da prima pagina e finiscono nel cestino della carta straccia. È bene tenerne conto parlando dell'inchiesta napoletana che vede Silvio Berlusconi indagato per corruzione.
Il primo flop risale al 2000. Henry John Woodcock, classe 1967, lavora da pochi mesi alla Procura di Potenza e imbastisce un'inchiesta sulla Banca Mediterranea. Una storia di falsi in bilancio svuotata nel 2001 da una legge che depenalizza alcune fattispecie di quel reato. Woodcock farà ricorso al la Corte Costituzionale ma inutilmente. Parziale il fiasco della successiva inchiesta sulle tangenti che sarebbero state intascate da alcuni dirigenti dell'Inail: dei 20 arrestati sei sono liberati dal Tribunale del Riesame.
Il primo grave smacco nella carriera di Woodcock arriva con il cosiddetto «Vipgate»: un'inchiesta-calderone partita nel 2003 che coinvolge a vario titolo 78 persone tra cui i politici Franco Marini, Nicola Latorre, Maurizio Gasparri, Francesco Storace, il diplomatico Umberto Vattani, il cantante Tony Renis e la conduttrice tv Anna La Rosa. Le accuse (associazione per delinquere per la turbativa di appalti, corruzione, estorsione e tante altre) si sgonfiano presto e il tribunale di Roma, cui l'inchiesta è approdata dopo che Potenza si è dichiarata incompetente, archivia il feuilleton giudiziario per impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio. È così che Woodcock inizia a farsi la fama di «mister flop».
Una fama consolidata da successive e non meno sfortunate inchieste: la cosiddetta «Iene 2», che nel 2004 ipotizza link tra esponenti politici lucani e criminalità organizzata e finisce con 51 arresti respinti; e il «Savoiagate» che inquadra nel mirino Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato con le accuse tra le altre di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, alla corruzione e alla concussione. Anche in questo caso non appena l'inchiesta lascia la procura di Potenza per approdare in quella di Como, competente perché al centro c'è il casinò di Campione d'Italia, si affloscia e nel 2010 il reale viene assolto con altri imputati perché il fatto non sussiste. All'ex sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi, arrestato e costretto alle dimissioni, è riconosciuto un risarcimento di 11mila euro.
Non finisce qui. Woodcock si imbarca in una nuova inchiesta glamour, la cosiddetta «Vallettopoli». Al centro, un giro di ricatti nel mondo dello spettacolo. Da prima pagina alcuni personaggi coinvolti: la soubrette Elisabetta Gregoraci, il portavoce di Gianfranco Fini Salvatore Sottile, Lele Mora, Fabrizio Corona, l'allora ministro Alfredo Pecoraro Scanio. L'inchiesta approda al tribunale dei ministri di Roma, ma finisce in una bolla di sapone, salvo che per la condanna a Milano di Corona. Un flop autocertificato è quello dell'inchiesta sulla massoneria, con Woodcock stesso che fa marcia indietro per inconsistenza dell'accusa.
Nel 2009 Woodcock si trasferisce a Napoli ma non perde il vizietto dell'inchiesta tanto-rumore-poca-sostanza. Nel 2011 fanno scalpore le intercettazioni sulle quali si basa l'inchiesta sulla P4, il «sistema informativo parallelo» allestito dal mediatore Luigi Bisignani. Alfonso Papa del Pdl diventa il primo parlamentare italiano a finire in carcere per reati non violenti, con l'accusa di aver fornito a Bisignani informazioni sensibili ottenute con l'aiuto del maresciallo dei carabinieri Enrico La Monica.
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