Trema la politica nazionale. Trema il mondo bancario. L’unico che sembra dormire tranquillo nonostante le scosse giudiziarie del terremoto in arrivo su Antonveneta sembra essere il nuovo presidente di Banca Monte Paschi, Alessandro Profumo. Il quale, sin dal suo arrivo a Rocca Salimbeni, parla il meno possibile di quell’operazione folle del 2007 condotta personalmente dal suo predecessore Giuseppe Mussari, oggi al vertice dell’Abi, formalmente indagato dai pm di Siena. Profumo ha preso atto degli accertamenti del valutario della Gdf, delle proteste dei piccoli azionisti, delle perdite stratosferiche con le quali si ritrova a mandare avanti la baracca. Con un pizzico di perfidia ha solo ricordato che quand’era ad di Unicredit gli offrirono il gruppo creditizio del Nord Est a un prezzo più basso ma non lo comprò perché, a suo avviso, era comunque troppo. E solo una settima fa ha lasciato intendere che se dovessero emergere irregolarità nelle attività di acquisizioni con la banca spagnola che ha venduto Antonveneta al Mps, la «sua» banca si rivarrà sugli amministratori precedenti. Gli investigatori delle Fiamme gialle seguono come segugi l’odore di quei dieci miliardi (il prezzo ufficiale del costo dell’operazione) per cercare di ricostruire eventuali flussi di denaro collegati, verso Santander e non solo. In questa storia i conti sembrano non tornare tanto che ballerebbero, secondo gli inquirenti, altri miliardi dispersi in più rivoli. L’ex presidente Mussari ha sempre rivendicato la bontà della scelte parlando di un «ottimo affare» per Mps. In ogni sede ha smentito doppi o tripli giochi tanto che in un’assemblea invitò a leggere il capitolo sui costi per l’acquisizione di Antonveneta riportati «all’interno del prospetto informativo dell’aumento di capitale » inviato alla Consob nel 2008. Più in particolare indicò le «fonti di finanziamento» che a suo dire si potevano rintracciare al capitolo «5.155 pagina 69 e seguenti».
Più d’uno lo prese in parola. E appurò che era vero che l’accordo prevedeva che Mps corrispondesse «al closing un corrispettivo pari a 9 miliardi, oltre gli interessi, oltre all’importo (ecc)»ma purtroppo poco più avanti vi era anche scritto: «Inoltre Antonveneta presenta, alla data del primo aprile 2008, un passivo di circa 7,9 miliardi di euro finanziato dalla controllante AAB che a seguito del closing dell’acquisizione sarà finanziato dal gruppo Mps. Banco Santander si è già dichiarato disponibile a definire un piano di subentro graduale da parte di Mps nell’arco di un anno». Traduzione: quando Mps compra Antonveneta questa è indebitata per quasi otto miliardi e Santander, che di Antonveneta è proprietaria, si è messa d’accordo con Monte Paschi affinché quest’ultima subentri nel debito. Dunque, oltre ai 9 miliardi e trecento milioni di euro ufficiali (che poi diventeranno dieci) per l’acquisto di una banca che a sua volta Santander aveva inglobato appena due mesi prima pagandola molto ma molto meno (6,6 miliardi di euro), bisognerebbe sommare alle uscite per Antonveneta anche questo debito di 7,9 miliardi di euro. Totale: 17,9 miliardi di euro a fronte di un valore patrimoniale «reale» della banca acquistata non di 10 miliardi, non di 9 miliardi, e nemmeno di 6,6 miliardi (visto che gli spagnoli hanno tenuto il corporate Interbanca che valeva un miliardo e mezzo di euro). Bensì di appena 2,3 miliardi, se si dà retta a quanto riferito dall’ex presidente del collegio sindacale del Mps, Tommaso Di Tanno. Lo stesso pure confessò che per un acquisto così oneroso la banca senese (che all’epoca ne capitalizzava 12,6 di miliardi di euro, e che per procedere dovette fare un aumento di capitale di 5) non aveva affidato preventivamente a un qualificato soggetto terzo una due diligence per stimare il reale stato dell’arte della banca oggetto di acquisizione. Poi si scoprì che una specie di due diligence in realtà era stata fatta, ma successivamente all’acquisto, a cose fatte.L’affare Antonveneta, concluso a novembre 2007, veniva formalmente ultimato nei primi mesi del 2008 grazie anche all’intervento della Fondazione Mps che al pari di Banca Mps poi pagherà carissimo quell’intervento. Di lì a poco il mondo entrerà nella sua crisi più nera dal 1929 per il crack Lehman Brothers. «Chi fa ricadere sul fallimento della banca d’affari americana i disastri di Mps – commenta un investigatore – mente sapendo di mentire.
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