Mai più libero. Osservo con attenzione quasi maniacale ogni evento legato alla Giustizia, lo osservo da quel 13 ottobre del 1998 quando alle sei di mattina vennero a «catturarmi», così era scritto nell'ordinanza di custodia cautelare, a casa.
Avevo, all'epoca dei fatti, poco più di trent'anni, un figlio di cinque che, presente all'arresto, passò qualche anno a nascondersi sotto il letto ogni qualvolta il campanello suonava. Passai tre mesi in carcere fin quando una sentenza della Suprema Corte della Cassazione mi liberò ritenendo errata la tesi accusatoria e stigmatizzando come «delirio di onnipotenza» gli atti fatti dalla Procura di Milano. Tre mesi che furono suddivisi tra isolamento giudiziario ad Opera e massima sicurezza nel carcere speciale di Novara.
Ricordo gli occhi lucidi di mio padre alla prima visita in carcere ad Opera, ricordo il suo sguardo triste e stanco quando, spostato al carcere di Novara, veniva di sabato a trovarmi in treno per portarmi conforto. In quei tre mesi di carcere mio padre si ammalò, una ciste visibile appena sotto l'orecchio, divenne sempre più grande. Era un tumore.
Quando uscii dal carcere, mio padre fu operato ma non ci fu più nulla da fare. Da lì a poco morì e non riuscì mai a vedere la mia definitiva assoluzione dal reato di corruzione così come non vide mai la nascita del suo secondo nipote, Giulio Antonio.
Di questo la responsabilità, da cristiano, non è della Provvidenza ma della Giustizia che sommariamente aveva costruito un impianto accusatorio senza senso pensando che il carcere preventivo potesse diventare uno strumento per recuperare prove e notizie che avallassero le loro tesi.
Così da quel 13 ottobre del 1998 io non mi sono mai più sentito un uomo libero. Ogni qualvolta vedo un blindato della polizia penitenziaria mi viene in mente quando mi legarono mani e piedi per trasferirmi dal carcere di Opera a quello di Novara.
Quando sento un campanello suonare penso che possa essere ancora per me; per portarmi via.
Ma soprattutto ho dentro il cuore lo sguardo di mio padre al colloquio in carcere che mai saprò interpretare correttamente.
È la giustizia, con la g minuscola, che tende a costruire tesi accusatorie e dispensare avvisi di garanzia e richieste di custodia cautelare con una facilità disarmante. È quella Giustizia che viene utilizzata dai tuoi nemici quando hanno voglia di farti fuori da qualsiasi momento della vita civile, sociale, politica.
Intanto nulla cambia e le vittime di malagiustizia sono state, nel 2011, 2369 con una spesa dello Stato di circa 40 milioni di euro.
A nulla serve il riconoscimento economico per ingiusta detenzione (io ricevetti dallo Stato circa 30mila euro) perché la ferita per chi ingiustamente è stato accusato non è rimarginabile.
La mia è la condizione privilegiata di una persona che ha avuto al suo fianco amici, parenti e che ha potuto ricostruire la propria dignità sociale anche grazie all'aiuto di persone che non hanno mai smesso di credere in me.
Il nostro Paese purtroppo è colpito da una doppia ingiustizia che costruisce spesso due vittime, sia chi ingiustamente è accusato di un reato sia le famiglie vittime del reato stesso che non avranno mai il vero colpevole. A questo la politica ha l'obbligo di dare delle risposte legislative in caso contrario ogni nuovo parlamentare deve ritenersi complice delle morti di malagiustizia che ogni anno purtroppo ci sono.Twitter @terzigio
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