Tante piccole e grandi leve in un unico ingranaggio. Che condizionava le istituzioni, determinava scelte strategiche, controllava i controllori, addomesticava l'informazione, ridimensionava e copriva i fumi che incombevano su una città intera tentando di anestetizzare un territorio ormai compromesso. È questo l'inquietante scenario che viene fuori dall'inchiesta della Procura di Taranto sul disastro ambientale che sarebbe stato provocato dall'Ilva, un tempo invulnerabile colosso dell'acciaio, il primo stabilimento siderurgico d'Europa con base in Puglia e affari in mezzo mondo, tratteggiato nelle carte giudiziarie come un gigante saldamente protetto da una fitta da ragnatela di rapporti e complicità, silenzi e connivenze.
La Guardia di finanza ha concluso gli accertamenti e alla fine, al termine di lunghi accertamenti, ha intrecciato i dossier che si sono accavallati nel giro di questi mesi. E nei faldoni, confluiti in un unico grande fascicolo, adesso figurano 53 indagati (tre sono le società). Tra loro ci sono politici di primo piano del centrosinistra, dirigenti e alti funzionari della Regione Puglia e dell'Arpa, un professore universitario, un sacerdote, un poliziotto e un carabiniere, oltre ai vertici dell'azienda: il patron Emilio Riva, i figli Nicola e Fabio. I reati, ipotizzati a vario titolo, sono pesantissimi: tra gli altri associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, emissione di sostanze inquinanti.
L'inchiesta è durata quattro anni, accompagnata da polemiche, momenti di tensione tra magistratura e governo, un fiume di dichiarazioni sul futuro di una città stretta tra il diritto alla salute e lo spettro dell'inquinamento. Fumi e veleni che sono stati documentati nel corso di un incidente probatorio dell'anno scorso, quando dalle perizie disposte dal giudice per le indagini preliminari, Patrizia Todisco, sono emersi i gravi danni alla salute dei cittadini. Quello è stato il punto di svolta, la tappa che ha impresso una netta accelerazione: poi gli arresti e il sequestro dell'area a caldo. Ma nel corso degli accertamenti della Guardia di finanza sono spuntati ulteriori filoni. E nel registro degli indagati sono finiti una serie di personaggi del mondo istituzionale: dall'ex presidente della Provincia, Giovanni Florido, all'ex assessore provinciale all'Ambiente, Michele Conserva, entrambi del Partito democratico, fino a dirigenti di peso della Regione Puglia.
Il tassello fondamentale del mosaico investigativo riguarda la capacità dell'azienda di garantirsi la massima produzione mettendosi però al riparo dai controlli. In questo scenario ritiene la procura un ruolo chiave sarebbe stato svolto da Girolamo Archinà, ex responsabile dei rapporti istituzionali dell'Ilva: sarebbe stato in particolare lui a tessere quella ragnatela di rapporti a tutela della fabbrica giungendo al punto di addomesticare è l'ipotesi della Guardia di finanza - anche una perizia della procura.
Questa tranche investigativa, denominata «ambiente svenduto», è approdata a una prima svolta il 26 novembre dell'anno scorso, quando sono stati eseguiti sette arresti; nell'ambito delle stesse indagini sono anche scattati i sigilli per un milione e settecentomila tonnellate di prodotti finiti e
semilavorati realizzati con impianti sotto sequestro e senza facoltà d'uso, un provvedimento che ha fatto vacillare l'azienda. Al punto che è stata ipotizzata anche la chiusura, un'ipotesi poi scongiurata. Almeno per il momento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.