RomaSarebbero dimissioni «facili e no cost». Il passaggio chiave dell'informativa del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola è questo. Al netto della mozione degli affetti (arrivata ai parlamentari sotto forma dell'aneddoto di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone che, alla vigilia della partenza, hanno detto «con voce ferma, non capiamo, ma non ci abbandonate, non ci abbandoni») e senza tenere conto della frecciata al collega Terzi che si è dimesso («facile farlo ora»), il cuore dell'intervento di Di Paola alla Camera è proprio quello delle dimissioni no cost. Perché effettivamente, a questo punto, che le sue dimissioni arrivino ora o tra qualche giorno, non fa molta differenza. Soprattutto per lui.
L'ammiraglio di Torre Annunziata, approdato al ministero con il governo tecnico, dopo avere ricoperto le cariche di capo di stato maggiore della e presidente del comitato militare della Nato. Vanta una stima diffusa e apprezzamenti bipartisan.
Ma le chance di approdare ad altri incarichi prestigiosi - come molti altri suoi colleghi - si sono ridotte notevolmente con la partecipazione al governo di Mario Monti. Le cronache dei mesi scorsi lo davano tra i papabili per la guida di Finmeccanica. Il gruppo, colpito dalle inchieste giudiziarie, deve rinnovare il vertice e il ministro della Difesa era, fino a qualche settimana fa, uno dei candidati più forti.
A fare svanire le ambizioni di Di Paola è stata innanzitutto la legge sul conflitto di interessi varata dal governo di centrodestra, che vieta agli ex ministri di ricoprire incarichi che abbiano attinenza con la carica nel governo per dodici mesi dalla cessazione del mandato. Il governo Monti l'ha confermata ed è difficile che si faccia un eccezione per Di Paola. In qualche modo pesa anche la vicenda dei marò.
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