L'assemblea bulgara del Pd: resa a porte chiuse

Oggi la riunione per dare il via alle primarie: ingresso vietato a stampa e curiosi, scrutatori scortati per evitare brogli. Ma il rischio è che tutto salti ugualmente in aria

Cosa accadrà all'assemblea Pd di oggi, convocata in mattinata all'Hotel Ergife per dare il via alle primarie, è ancora un mistero. E nessuno si sente troppo tranquillo, tanto che il neo-candidato alla Regione Lazio, Nicola Zingaretti, lancia un «accorato appello» al partito per evitare spaccature drammatiche: «Bisogna confrontarsi, e poi unirsi».
Nessuna certezza, neppure sul numero esatto di chi ha diritto a votare quella benedetta modifica dello statuto che aprirà la gara a Matteo Renzi e agli altri: 1.000, 950, 720, i numeri si rincorrevano ancora ieri mentre si continuava a depennare quelli che sono decaduti perché passati a miglior vita o ad altro partito, arrestati, fuggiti, dimessi eccetera. Di certo, però, le assise saranno blindate (fuori stampa, ospiti non delegati, curiosi, militanti) per evitare «infiltrazioni». Ogni «contatore» della presidenza sarà scortato da un controllore, per arginare le contestazioni nel conteggio dei voti. Contestazioni che minacciano di investire la stessa presidente dell'assemblea: molti, tra i renziani ma anche tra i bersaniani preoccupati perché un voto contro la modifica proposta da Bersani suonerebbe come una sfiducia al segretario, si chiedono che combinerà stavolta Rosy Bindi. All'ultima riunione, le forzature della presidente sul documento sulle unioni gay suscitarono una mezza rivolta, con l'assemblea che finì nel caos e gravi danni d'immagine per il Pd.
Stavolta la partita è ancora più rischiosa. E la Bindi è la punta di diamante di quella «vecchia guardia» Pd che vede le primarie e Renzi come la peste. Ieri sera, dopo che in molti (da Veltroni a Fassino) si erano adoperati per trovare una mediazione sulle regole-capestro, la Bindi ha dato fuoco alle polveri: «Le regole sono sempre quelle», e se a Renzi non piacciono pazienza, tanto «all'assemblea manco c'è», non essendo delegato. Un modo per far saltare i tentativi di mediazione che pure erano in corso, con una semi intesa per eliminare gli sbarramenti più assurdi. Un segnale di quanto sia ancora a rischio l'appuntamento di oggi. Bersani lo sa, e ha chiesto allo stesso Renzi di tener bassi i toni: il regolamento verrà ammorbidito e limato, ha assicurato, ma meglio non dirlo troppo forte ora perché i tanti nemici delle primarie potrebbero usare l'assemblea per metterci sopra una pietra tombale, facendo mancare il numero legale o votando contro. Bersani invece punta a bypassarla e a rinviare le decisioni sulle regole al futuro «tavolo di coalizione» con Vendola, facendo votare oggi solo alcuni principi di massima: doppio turno, sottoscrizione del manifesto di centrosinistra per ottenere la tessera elettorale dal 21esimo giorno prima del voto, impegno dei candidati a sostenere il vincitore, senza strappi, candidature entro il 15 ottobre.
Il sondaggio reso noto ieri da Swg (che corrisponde a quelli di Bersani e Renzi) spiega bene le preoccupazioni: se a votare andassero in 4 milioni, Renzi avrebbe la vittoria in tasca. Se si restasse attorno ai 3 milioni, la spunterebbe Bersani. Insomma, meno gente va, meno si rischia: per questo si è congegnato il regolamento da azzeccagarbugli che prevede preiscrizioni, albi, tessere, uffici elettorali diversi dai gazebo, doppio turno a numero chiuso e altre fantasiose novità per demoralizzare i potenziali elettori. «Con quelle regole non riuscirei a convincere neppure mia moglie a votare», nota sconsolato Paolo Gentiloni. Il quotidiano Europa avverte Bersani: attento, perché se va a votare meno gente dell'ultima volta, le primarie saranno «un flop». In attesa del redde rationem dell'Ergife, nel Pd lo scontro si diffonde anche nell'«apparato». La direttrice di Youdem e fan bersaniana, Chiara Geloni, denuncia nel suo blog quei «dipendenti del Pd che ritengono di appoggiare candidati diversi dal segretario».

Gli replicano a brutto muso prima Domenico Petrolo, renziano del dipartimento Cultura, parlando di «intimidazioni», poi Lino Paganelli, responsabile delle feste Pd: «Magari Bersani, a dispetto della sua adulatrice, ragiona valutando competenze e capacità e non il tasso di leccaculismo».

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