Roma - Letta e Alfano, premier e vicepremier. L'ultimo, estremo e forse disperato, tentativo di salvare le larghe intese finisce male. Muro contro muro. Un incontro a tratti teso, durato circa due ore e mezzo. Letta esprime più volte la sua linea: «Chi staccherà la spina al governo se ne assumerà la responsabilità. Sarebbe, ora che l'Italia vede la terra promessa della fine della crisi, una decisione paradossale». Alfano dipinge la situazione a tinte fosche: «Sì, ma tocca trovare insieme, soprattutto a voi, una soluzione democratica al problema. Non ci potete chiedere di acconsentire che scatti il plotone di esecuzione nei confronti del nostro leader e pretendere che continuiamo a far vivere il governo». Il premier ascolta, scuote la testa: «Ma sono due piani diversi, non si può legare la vita del governo a quella di Berlusconi». Alfano non molla e ripete che non è possibile restare in una coalizione dove un partito fa decadere il leader del partito alleato per un atteggiamento pregiudiziale, senza alcun approfondimento, senza tenere conto del parere di giuristi che esprimono dubbi sulla retroattività della legge Severino. Alfano precisa: «Noi non vogliamo far cadere l'esecutivo che abbiamo fortemente voluto nell'interesse del Paese. Ma il vostro atteggiamento pregiudiziale pregiudicherebbe tutto». Letta è irremovibile: «Il Pd, in giunta, voterà per far uscire dalla politica Berlusconi per non spaccarsi». Alfano ribatte: «Se la giunta e poi il Senato impallinano Berlusconi, sappi che il governo è morto». E qui arriva il ricatto di Letta: «Attenti, ci sono già 20 grillini pronti a sostenere il mio governo se voi non ci state più». Epifani, da Siena, conferma la chiusura: «Nessuno ci farà cambiare idea e nessuno può tirarci per la giacchetta. Le sentenze vanno fatte eseguire». Lo scontro è aspro e l'altra richiesta di Alfano sembra più un atto dovuto. Ossia chiedere che a Letta, visti gli ottimi rapporti con Napolitano, un'intercessione.
Già, ma cosa potrebbe fare il Quirinale? Posto che è impossibile che Napolitano interferisca sul voto del Parlamento, una delle ipotesi è la commutazione della pena. Il Colle potrebbe infatti trasformare la pena da detentiva a pecuniaria. Modificare cioè i quattro anni di reclusione in una multa. Sarebbe così disinnescata la legge Severino che parla di «incandidabilità» a chi «riceve una condanna a 2 anni di reclusione»? Per alcuni sì, se si considera la pena effettivamente erogata. Per altri no, se si considera la sentenza per come è stata effettivamente pronunciata. Ma almeno eviterebbe sia i servizi sociali sia gli arresti domiciliari che rimangono un'esperienza durissima da vivere. Quella della commutazione della pena è in ogni caso una carta «morbida», una soluzione soft in un contesto ormai durissimo. Altra strada, altrettanto soft e a cui lo stesso Cavaliere crede poco, è quella di ottenere un'apertura a un ricorso alla Consulta per verificare tutti gli aspetti di costituzionalità della legge Severino. Specie alla luce dei tanti dubbi avanzati anche da giuristi e costituzionalisti non vicini al centrodestra.
Se neppure questa carta funzionasse, sarebbe il patatrac a breve. Non c'è ministro che resterebbe un minuto di più a palazzo Chigi. Lo conferma il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo che smonta la polemica innescata dalla piddina Alessandra Moretti. La quale l'aveva indicata tra i ministri che «potrebbero restare» anche nell'ipotesi di una crisi di governo. De Girolamo twitta: «Cara Moretti grazie per l'attenzione ma non sono mai stata una cacciatrice di poltrone. Seguirei mio leader nella buona e cattiva sorte». Laura Ravetto include tutti gli altri: «Ovvio che nessun ministro resterebbe».
Insomma, il governo è appeso a un filo.
E lo ricorda pure Daniele Capezzone: «Il premier Letta e il Pd non possono fare come Ponzio Pilato». Unica nota positiva del summit è il fisco: l'intesa sulla questione Imu e Iva pare a portata di mano e sarebbero stati fatti significativi «passi avanti». Forse gli ultimi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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