Come mai chi aveva urtato il muro con più violenza adesso è ripartito mentre noi siamo bloccati? Questa è la domanda a cui un governo serio dovrebbe dare una risposta prima di qualsiasi altra cosa. I dati inglesi diffusi ieri non lasciano adito a dubbi: il 2013 è stato un anno eccellente per l'economia del Regno Unito che ha inanellato quattro trimestri di fila di crescita. L'istituto nazionale di statistica ha confermato il segno più (+0,7%) anche per il quarto trimestre portando la salita del Prodotto interno lordo 2013 a +1,9%, il dato migliore dal 2007, anno di inizio della crisi.
La crescita britannica è assolutamente speculare alla nostra crisi: tanto loro sono cresciuti quanto noi abbiamo proseguito nella recessione (-1,9% nel 2013) e questa decrescita significa sofferenze, licenziamenti, disoccupazione, aziende che chiudono forse per sempre. Per l'Inghilterra invece significa nuovi posti di lavoro, euforia, ottimismo: un tasso di disoccupazione che, partito allo stesso livello, si avvia ad essere la metà del nostro. Eppure nel 2008 la crisi aveva colpito Londra in modo terribile: il panico legato ai timori per le banche, scatenato dal fallimento della banca d'Affari Lehman Brothers, si era propagato subito alla City. Il tesoro britannico dovette intervenire a difesa dei propri istituti di credito impegnando somme enormi. Il deficit e la crescita del debito lasciavano intendere un impatto notevolmente superiore della crisi in Inghilterra rispetto a quanto stava accadendo in Italia, non toccata se non marginalmente dal problema dei titoli tossici nei portafogli delle banche. Invece la Gran Bretagna aveva a disposizione un ammortizzatore potentissimo a noi negato: la propria moneta, gestita dalla propria Banca Centrale. La Bank of England iniziò subito una politica di enormi iniezioni di liquidità nel sistema economico ricomprandosi miliardi di sterline di titoli di debito pubblico, fornendo denaro in eccesso rispetto ai deficit di bilancio che andavano creandosi. In tal modo i tassi rimasero bassi e la forza della speculazione si sfogò sul tasso di cambio, con la Sterlina che svalutò fortemente nei confronti dell'Euro.
L'effetto benefico fu duplice: da un lato veniva ribadita la totale affidabilità del debito pubblico britannico e delle sue banche, dall'altro la svalutazione diede una spinta all'economia, non tanto facendo aumentare le esportazioni (l'Inghilterra non ha vocazione all'export) ma rendendo più convenienti stipendi e servizi del suo fiorente terziario. Nessuno ha potuto ricattarli, nessuna troika alle porte, nessun Monti imposto dall'Europa per mettere in atto tagli e tasse recessive e inutili. Nessuna quota da versare per i Fondi Salvastati per i quali, se l'Inghilterra avesse avuto l'Euro, sarebbe stato richiesto un impegno analogo a quello dell'Italia, vale a dire oltre 50 miliardi a oggi. Liberi. A schiena dritta. Pur essendo come noi nella Ue.
Invece all'Italia per il «privilegio» di avere come moneta l'Euro è toccata un'altra storia. Nel 2011, con una decisione politica, a seguito della crisi della Grecia si è lasciato che l'affidabilità del debito pubblico italiano venisse messa in discussione, creando a tavolino il mostro dello spread che ci ha regalato Monti e l'austerità. Invece di reagire alla recessione l'abbiamo assecondata, tassando e tagliando, facendo scappare i capitali, alzando le imposte sui risparmi, minacciando tasse patrimoniali, riducendo gli stipendi con l'arma della disoccupazione, mandando in crisi le nostre aziende e provocandone la svendita agli stranieri, impegnando capitali enormi in inutili fondi salva-Stati utili soltanto a creditori che non eravamo noi. Scelta obbligata? Certo, ma solo per un mondo dove il migliore di tutti i sistemi di aggiustamento automatico e di assorbimento degli shock, ovvero il cambio flessibile, è stato scriteriatamente disattivato in nome del totem dell'Euro. Ci siamo messi a nuotare con un pietrone al collo e al primo crampo siamo inevitabilmente andati a fondo.
Adesso l'Inghilterra (come gli Stati Uniti e il Giappone) nuota veloce mentre noi anneghiamo, parlando di elezioni senza pensare a quanto inutile sarà qualsiasi governo senza gli strumenti minimi per poter contrastare una crisi.
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