«La Chiesa è viva, è un corpo vivo», ripete Benedetto XVI agitando le braccia per salutare la folla. La Chiesa è lì davanti a lui, una moltitudine sterminata, la piazza San Pietro traboccante per un'udienza del mercoledì senza precedenti. La Chiesa sono 200mila persone in attesa dall'alba, facce normali, telefonini, fotografie, striscioni, poche lacrime e tanti applausi, slogan da scandire, rosari da benedire per l'ultima volta dal papa che se ne va.
La Chiesa sono le lettere che Joseph Ratzinger ha ricevuto in questi otto anni, scritte «non come a un principe o un grande che non si conosce ma con il senso di un legame familiare molto affettuoso» e spedite «da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto».
La Chiesa è questo misterioso e a volte irritante miscuglio di «giorni di sole» (come quello di ieri) e «vento contrario», di «scelte difficili e sofferte» e della «gioiosa certezza che il Signore ci è accanto». È anche la Curia, i collaboratori, ma non si riduce a questo: «Non un'organizzazione, non un'associazione per fini religiosi o umanitari, ma una comunione di fratelli e sorelle nel corpo di Gesù Cristo che ci unisce tutti».
È un addio, eppure è una festa di bandiere, striscioni, ovazioni, colori. Joseph Ratzinger non dispensa consolazioni facili. Prende a modello San Benedetto, la sua vita sarà quella di un monaco di clausura: «Non ritorno a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze», dice. «Resto nel recinto di San Pietro». Oggi lo vedremo in tv mentre sale sull'elicottero per Castelgandolfo, poi mai più. Non c'è la scappatoia di un «arrivederci». Tuttavia dalla piazza non sale lo smarrimento, e nemmeno un nostalgico «resta con noi», ma un grande abbraccio.
Benedetto XVI percorre la piazza sulla papamobile per quasi venti minuti, è un'immersione tra la folla anche senza scendere dalla vettura bianca. È curvo, fatica a camminare, indossa il cappotto perché il limpido sole romano di fine febbraio non scalda a sufficienza. Ripete spesso la parola «certezza» e si vede che la fede è il suo vero bastone. Ripete anche una frase che aveva detto la domenica del suo insediamento: «Non sono solo». Detto oggi, dopo otto anni difficili e combattuti, ha il sapore di un consuntivo.
E infatti Ratzinger usa una parola molto personale: «Lo sperimento ora». Non è un auspicio, un desiderio, una speranza, ma un qualcosa che ha provato su di sé. «Numerose persone in tutto il mondo nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui».
L'ultimo discorso di Benedetto XVI, una sorta di testamento spirituale, è un lungo ringraziamento. Il papa dice grazie a Dio con le parole della preghiera che una volta tutte le catechiste insegnavano ai bambini della prima comunione: «Ti adoro mio Dio, e ti amo con tutto il cuore... Dio non ha mai fatto mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione. È Dio che guida e fa crescere la Chiesa». Una certezza incrollabile, la sfida suprema dell'uomo per cui «la fede è l'unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo».
Ma l'elenco è lungo proprio perché «non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino: il Signore mi ha messo accanto tante persone che mi hanno aiutato e mi sono state vicine». I cardinali: sono una settantina quelli che lo ascoltano sul sagrato della basilica. I collaboratori più stretti, «a iniziare dal mio segretario di stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni», il contestatissimo Tarcisio Bertone. La segreteria di stato e «l'intera Curia romana»: «Tanti volti che non emergono, rimangono nell'ombra ma nel silenzio e nella dedizione sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile».
E ancora la diocesi di Roma, i vescovi, i preti, i religiosi, il corpo diplomatico presso la Santa Sede, perfino i giornalisti «che lavorano per una buona comunicazione». I fedeli: «Ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse a tutti: il cuore di un papa si allarga al mondo intero».
Il papa saluta in tante lingue, compreso l'arabo, e fa una certa impressione sentire risuonare nel cuore della cattolicità quei suoni ostici e forse ancora ostili.
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