Le manovre segrete nel Pd per evitare una crisi al buio

Prima di decidere se diventare premier, Renzi vuol capire se l'Italicum procede spedito alla Camera. I lettiani: senza un accordo con Enrico, il sindaco resta ostaggio del Cav

Le manovre segrete nel Pd per evitare una crisi al buio

Così, con nonchalance, Matteo Renzi ieri sera ha tolto dal tavolo il dossier più scottante della politica italiana e ha rinviato a tra due settimane il redde rationem sui destini dell'esecutivo. Un redde rationem che dipenderà molto sia dalle mosse del premier in questi giorni che - soprattutto - dall'iter della legge elettorale: Renzi vuol vedere cosa succede a Montecitorio sull'Italicum, prima di decidere cosa fare. Se venisse impallinato, stravolto o impantanato, non sarebbe solo il governo a saltare, ma con ogni probabilità anche la legislatura. Se invece andrà in porto nei tempi previsti, la situazione potrebbe stabilizzarsi, con un Letta bis fino al 2015 oppure con un cambio della guardia a Palazzo Chigi.

Un rinvio che per il governo in carica suona come un ultimatum, e che coincide - forse per caso forse no - con l'aut aut dato a Letta dalla Confindustria di Giorgio Squinzi: o il premier arriva al Consiglio direttivo di Confindustria, il 19 febbraio, «con soluzioni già avviate», o il sindacato degli imprenditori si rivolgerà al Colle, per chiedere che se ne occupi qualcun altro. Lo stesso Squinzi ha fatto sapere che nei prossimi giorni incontrerà il segretario del Pd.

L'annuncio a sorpresa di Renzi è arrivato al termine di una direzione Pd in cui molti ruoli si sono ribaltati. La minoranza ha picchiato duro contro il governo che prima difendeva a spada tratta («La fiducia nei suoi confronti è a livelli preoccupanti», dice Gianni Cuperlo) e sollecitato Renzi a farsene carico lui. Letta ha parlato, con toni estremamente concilianti verso il Pd e il suo segretario («Siamo una comunità»), assicurando di non voler «galleggiare» e che riforme (cioè Renzi) e governo (lui) devono marciare uniti se il Pd vuole salvarsi. Renzi non lo ha risparmiato, ricordando che mentre il Pd «marcia come un metronomo» sul proprio programma, e gli ha sempre assicurato «pieno» sostegno («Anche quando era problematico»), il governo arranca. E ha ribadito che - mentre tutti gli altri sembrano girare come trottole - per lui lo «schema» resta quello sottoscritto dieci mesi fa da Letta e controfirmato dal Colle: il governo ha diciotto mesi per affrontare la crisi e portare a casa le riforme, poi «si va al voto». Se invece «qualcuno ha cambiato piani, se il Presidente del Consiglio ha altre idee, sono pronto a discuterne il 20 febbraio». In streaming, naturalmente. Un messaggio chiaro al premier, al Colle e allo stesso Pd, a quella minoranza che ieri lo ha incalzato per spingerlo a dire che l'esperienza Letta è fallita e che lui è pronto a sostituirlo. «Gli stessi», ha ricordato ironico Giorgio Tonini, «che prima volevano che il segretario facesse solo il segretario, ora vogliono che vada al governo».

A fine riunione, dentro il Pd, l'isolamento di Letta era palpabile, e la fiducia nelle possibilità di un «cambio di passo» del governo ai minimi termini. A Palazzo Chigi si conta però su un Napolitano «granitico» nel suo supporto a Letta, e su una mobilitazione delle cancellerie europee a suo favore: «Renzi non vede l'ora di andare a Palazzo Chigi - dicono i lettiani di stretta osservanza - ma Napolitano sa che in Europa non vogliono un interlocutore sconosciuto e senza legami.

La bolla mediatica sulle riforme di Renzi si sgonfierà presto, l'Italicum è a rischio costituzionale e la riforma del Senato è un pasticcio: senza un accordo con Letta, il segretario Pd è in balia di Berlusconi». Un Berlusconi «tornato su barricate anti-istituzionali dopo l'ottima mossa di Grasso». Ma di qui al 20 febbraio la partita è ancora lunga, e ogni svolta è possibile.

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