Marcello, imputato da 20 anni: colto bibliofilo o amico dei boss?

Colleziona libri antichi, ma per i pm aiutava la mafia. Lui si è sempre difeso: sono vittima di un complotto

Marcello, imputato da 20 anni: colto bibliofilo o amico dei boss?

Non fosse nato e cresciuto a Palermo, la sua vita sarebbe stata diversa. Sì, magari sarebbe stato un bibliofilo e un manager. Ma non avrebbe quel peccato originale che dal 1994, l'anno della nascita di Forza Italia, lo perseguita: la mafia, le collusioni coi boss di quella città matrigna dove inciampare in un mafioso non è difficile.
Sta nella palermitanità di Marcello Dell'Utri la chiave dei guai giudiziari per i quali adesso l'ex senatore Pdl, a 72 anni di cui 20 passati tra avvocati e aule processuali, rischia la galera. Sta in quegli anni '60 in cui lui si dilettava di calcio, con la Bacigalupo, piccola squadra in cui ha giocato persino il presidente del Senato Piero Grasso che «era bravissimo - ama ricordare Dell'Utri - perché usciva sempre pulito dal campo. Anche quando c'era fango riusciva sempre a non schizzarsi». Lui, invece, Marcello, si è schizzato. E così la conoscenza con Gaetano Cinà e Vittorio Mangano, poi accusati di mafia, ha finito col rovinargli la vita. «Non sapevo chi fossero», ha sempre giurato Dell'Utri smentendo i pentiti - una quarantina - che via via lo hanno accusato. E a proposito di Mangano, lo stalliere portato ad Arcore nel 1974 a casa di Berlusconi per garantire, è la tesi dei pm, la protezione della mafia al Cavaliere che temeva i sequestri di persona: «È il mio eroe, metterei la sua foto a casa, perché gli sono grato. Quando era in galera malato e gli chiedevano di dire qualcosa su di me e Berlusconi rispose che non aveva niente da dire».

È il 1994 l'incipit dei guai mafiosi di Dell'Utri. Mentre lui, ad di Publitalia, selezionava tra i manager i candidati che alle elezioni di marzo avrebbero fatto l'en plein, la procura di Palermo apriva un fascicolo, il 6031/94, dove criptati con cinque «M» c'erano, indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, lui stesso e Silvio Berlusconi (poi archiviato), l'imprenditore che in quel '94, scendendo in campo in politica, stava sparigliando le carte. È da lì che parte il processo che martedì si chiuderà in Cassazione. Un dibattimento monstre, perché è mostruoso che un'indagine iniziata nel '94 arrivi al primo processo tre anni dopo, nel '97. E non è neanche normale che il dibattimento si chiuda dopo ben sette anni, l'11 dicembre del 2004, con la prima condanna, a nove anni, cui ne seguirà un'altra a sette, nel 2010, e poi una seconda a sette, nel 2013, nell'Appello bis, dopo che la Cassazione ha spedito indietro la precedente. I buchi non mancano. Fatta salva la conoscenza con Cinà e Mangano, mai negata, non c'è una prova, dice la difesa, che Dell'Utri abbia favorito i boss. La stessa Cassazione, quando ha annullato con rinvio, ha ritenuto non provate le accuse successive al '92 (ma Dell'Utri è anche imputato per la trattativa Stato-mafia), e ha giudicato insufficienti le prove relative al periodo dal 1978 al 1982, quando Dell'Utri non lavorava per il Cav.

In questi 20 anni Dell'Utri ha affrontato i processi con filosofia. «La giustizia non è di questo mondo», commenta nel 2004, dopo la prima condanna. Qualche anno dopo sostiene di essersi candidato in Parlamento per «legittima difesa» e spiega: «Io sono rimasto vittima di un complotto nato esattamente quando è stata fondata Forza Italia». E nel 2010, mentre il pg in Appello chiedeva la sua condanna, lui era a mangiare lo sfincione, una pizza tipica della cucina di strada palermitana. Così, tanto per esorcizzare.

Chi conosce Marcello Dell'Utri, l'uomo colto che cita i classici esperto di libri antichi, non si raccapezza davanti al Dell'Utri Marcello imputato che viene fuori dai processi, il mediatore con Cosa nostra, l'uomo che ha messo il Cavaliere, sua vittima, nelle mani dei boss. Un'accusa che lui considera offensiva, in primis per Berlusconi. Perché il leader di Forza Italia è l'altra sua grande passione.

Per il Cavaliere, negli anni '70, lasciò la banca in cui lavorava a Palermo per lavorare in Edilnord. Al Cavaliere ha inventato nel '94, un partito vincente. E per il Cavaliere, un anno fa, ha fatto un passo indietro, rinunciando a quella ricandidatura alle Politiche che, oggi, gli avrebbe potuto evitare il carcere.

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