Considerandosi un compendio di virtù, Ignazio Marino dolorosamente stupito ogni volta che gli si rinfaccia qualche magagna. Ormai gli capita spesso negli sgoccioli di campagna elettorale (si vota il 26-27 maggio) con la quale contende a Gianni Alemanno la guida del Campidoglio.
Ultimi a mettersi di traverso gli animalisti. Com'è noto, Marino, senatore del Pd, è un illustre chirurgo del fegato, con settecento trapianti e molte vite salvate. Perciò è vivisezionista convinto, a tratti un po' fanatico come quando nel 1992 uccise un babbuino per trapiantarne il fegato su un malato che sopravvisse sì e no un paio di mesi alla mostruosa commistione. Impresa che ripeté, previo scannamento di un secondo babbuino, ma stavolta del tutto inutilmente poiché il paziente morì senza riprendere conoscenza. Oggi, Marino riconosce che uomini e babbuini sono cose diverse, ma per saperlo bisognava sperimentarlo.
Si può dunque capire, con tutto il rispetto per il suo punto di vista, che gli animalisti romani lo abbiano sul gozzo. Ovunque vada, Ignazio è circondato da gruppetti che urlano: «Marino, Marino sei tu il babbuino». Il senatore, che si sente vittima, ripete inutilmente di amare gli animali. Forse per questa coda di paglia ha impostato la campagna elettorale sulla serena convivenza di animali e uomo, adulti e bambini. Con lo slogan Roma è vita ha affidato il programma a un fumetto di venti pagine che annuncia «una città a misura di bambino», con aree pedonali, biciclette, bebè e cani a spasso. Il solito quadretto preelettorale.
Quando il senatore proclama il proprio affetto per gli animali, parla dei suoi gatti, Napoleone e Paolina, e più ancora di Annibale che teneva con sé negli States, dove ha vissuto quindici anni, tanto da avere oggi la doppia cittadinanza. Il fatto che dia nomi di condottieri ai mici maschi è segno di lieve megalomania. Nulla di grave. Inquietante invece l'ammirazione per Annibale, nome non casuale del gatto americano, poiché in un'intervista rivelò che il suo libro preferito era la biografia del generale cartaginese di Gianni Granzotto. Ora, essendo Annibale il nemico più feroce che Roma abbia avuto, ci si chiede con quali intenzioni Marino si candidi ad amministrarla.
Nato cinquantotto anni fa a Genova, Ignazio si trasferì nella Capitale a quattordici anni. Qui si immerse nel cattolicesimo romano. Si iscrisse agli scout, frequentò il liceo dai Fratelli delle Scuole Cristiane, si laureò in Medicina all'Università Cattolica. Per ascendenze siciliane, è lontano cugino dell'attuale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, mentre il predecessore, Salvatore Pappalardo, fu suo padre spirituale e i due sono legatissimi. Insomma, un vero figlio di Maria, sposato da un quarto di secolo con Rossana, ex infermiera del Policlinico Gemelli, il nosocomio dei Papi. Questi legami beghini non gli hanno impedito, però, di infischiarsene della dottrina della Chiesa sul fine vita ed essere tra gli alfieri del testamento biologico, ossia per l'autodeterminazione del malato sul proprio trapasso.
Marino lasciò l'Italia nel 1980 per estirpare organi tra gli anglosassoni. Prima a Cambridge in Inghilterra, poi a Pittsburgh in Pennsylvania. Negli Usa fece un sacco di pratica, compresa quella sui babbuini. Fu così che nel 1997 diventò il trait d'union tra l'Università di Pittsburgh e la Regione Sicilia per la nascita a Palermo dell'Ismett, un supercentro per trapianti. Tornò in Italia e ne fu il mattatore, accentrando le cariche. Nonostante la bravura trapiantologica, si fece fama di arrogante, più autoritario che autorevole, incapace di lavorare in èquipe e motivare i collaboratori. Inoltre, mentre si diceva contrario alle raccomandazioni era spalleggiato da mezza Sicilia, dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, al già citato cardinale Pappalardo. Quando Salvatore Cuffaro divenne governatore si fece quattro conti e scoprì che l'Ismett era un pozzo senza fondo. Ogni posto letto costava alla Regione, 1,7 milioni l'anno, contro una media della sanità siciliana di 200mila euro letto.
Marino capì che per lui non era più aria e col tono di chi dice ingrata patria ruppe nel 2002 con Cuffaro, l'Ismett, l'Università di Pittsburgh e tornò negli Usa in un'altra struttura sanitaria. Fu a questo punto che nacque l'incresciosa vicenda dei rimborsi spese fasulli. Nel fare i conteggi della liquidazione, il capo del centro medico di Pittsburgh, Jeffrey A. Romoff, scoprì che Ignazio si era fatto rimborsare due volte le stesse spese, una dall'Ateneo di Pittsburgh, l'altra dall'Ismett. Crudelmente, Romoff precisò che ciò era avvenuto «intenzionalmente» e non per errore, per un totale di ottomila dollari. Quando la storia emerse nel 2009, Marino - già in politica da anni - farfugliò scuse ma non dette una spiegazione vera che manca tuttora. Solo una volta disse, infelicemente, che all'epoca maneggiava milioni e che «se un controllo contabile trova una discrepanza per ottomila dollari, beh, che volete che vi dica...». Insomma, se la cosa riguarda lui, che agli altri non perdona nulla, è tutta una quisquilia.
Marino l'americano si riaffaccia sulle nostre coste nel 2006. Vuole dare una sterzata alla sua vita e si rivolge a Max D'Alema, suo amico per ragioni mediche e di cui era collaboratore nella Fondazione Italianieuropei. Detto fatto. Max lo affida a Goffredo Bettini, il king maker del Pd - che pare sia dietro di lui anche in questa campagna per il Campidoglio - e Ignazio è eletto senatore. Il giorno dopo, cosa inaudita per un pivello, diventa presidente della commissione Sanità.
Nonostante favoritismi e creste, Marino continua a considerarsi immacolato e a fare le bucce al prossimo. L'aria di superiorità lo ha reso odioso a molti, tanto che piace solo a Nichi Vendola e ai giustizialisti. Nel 2009 litigò perfino con D'Alema perché volle candidarsi per la segreteria, terzo incomodo tra Bersani e Franceschini. Max, che sosteneva Bersani, lo pregò di non farlo per non disperdere voti, ma l'altro rifiutò. D'Alema urlò e Marino disse: «Ho passato la vita tra fegati e sangue, figurati se posso avere paura». A Baffino fu chiaro che si era messa una serpe in casa com'era già accaduto con Di Pietro un decennio prima. Nelle stesse ore, innervosì pure a Rosy Bindi, nonostante li leghi l'incenso. C'era stato un mezzo matto, iscritto al Pd, che aveva commesso stupro. Ignazio sentenziò: «Nel Pd c'è una questione morale enorme».
Ma se non ce l'ha per il partito, perché volete rifilarlo per governare Roma?
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