Milano - La «prova generale» c'era stata tre mesi fa, nel primo pomeriggio del 15 febbraio. Un periodo consono a confondere acque e memorie. Un tempo ragionevole per preparare con calma e precisione il colpo vero, esatta fotocopia del primo, ma con un bottino molto più consistente. Una rapina con tutti i crismi dell'imprevedibilità, violenta e rapidissima, con tanto di molotov in mezzo ai passanti, ma al momento priva di apparenti sbavature quella di ieri mattina alla sofisticata orologeria svizzera «Franck Muller» di via della Spiga, tre vetrine del lusso incastonate nella strada pedonale tra boutique e show room. Un colpo messo a segno da un commando di sei banditi travestiti e mascherati, incuranti della folla dell'ora di punta, dei sistemi di sicurezza, delle numerosissime telecamere della zona più sorvegliata di Milano e della vicinanza imbarazzante della questura di via Fatebenefratelli. Un elemento quest'ultimo che, da solo, avrebbe scoraggiato (quasi) chiunque. Non però questi uomini silenziosi e armati di mazze di ferro, con il volto coperto da passamontagna e cappellini rigorosamente neri. Che in meno di due minuti si sono portati via tutti gli orologi esposti in dieci delle undici teche di vetro interne al negozio, dopo averle distrutte con colpi secchi e rapidissimi. E non hanno esitato a usare le stesse sbarre per colpire anche i due uomini presenti nel negozio, alla stregua di comuni ostacoli che semplicemente li separavano dal loro obiettivo, i preziosissimi cronografi della maison ginevrina. Il più anziano, un commesso 58enne di origini libiche, è stato medicato sul posto; mentre un addetto della sicurezza, un italiano di 39 anni, che cercava di bloccare i banditi, è stato colpito a colpi di mazza all'addome e poi con calci e pugni. Finito al Policlinico con un'emorragia alla milza ora è fuori pericolo.
Soffermandosi su questi dettagli, si comprende sempre più come il colpo di tre mesi fa abbia fatto da apripista a quello di ieri. Sempre allora, anche se i banditi erano cinque, uno, elegante e dall'apparenza innocua, aveva dato via alla rapina suonando il campanello dell'orologeria come un cliente qualsiasi, proprio com'è accaduto ieri. Anche allora l'ingresso gli era stato aperto dall'interno senza esitazioni.
Tuttavia è la fuga il vero capolavoro della banda che ha saccheggiato la boutique dei cronografi svizzeri per un valore molto ingente ma ancora non quantificato e sicuramente superiore al «qualche centinaio di migliaio di euro» della manciata di orologi arraffati in precedenza. Una ritirata che, neanche a dirlo, ricalca, seppure sempre in scala allargata, quella del 15 febbraio scorso. Tre mesi fa, per facilitarsi la fuga a piedi nel cuore pedonale di Milano, i rapinatori avevano lanciato una molotov all'angolo tra via della Spiga e via Manzoni. E poi erano spariti. Ieri le molotov sono state ben tre, più una non esplosa. La prima bottiglia incendiaria è stata lanciata infatti davanti al negozio, mentre il titolare della boutique cercava d'inseguire il commando sparpagliatosi in direzioni differenti facendo lo slalom tra passanti terrorizzati. Una seconda bomba l'hanno buttata all'angolo con via Manzoni e infine una terza ha quasi raggiunto l'ingresso di una scuola elementare di via Borgospesso. Una quarta è stata abbandonata integra in via dell'Annunciata.
Lungo tutto il percorso i militari hanno ritrovato le mazze, i cappellini e altri indumenti indossati dalla banda: mentre le chiamate al 112 e le segnalazioni delle pattuglie, infatti, indicavano «uomini vestiti di nero», i rapinatori sotto gli abiti usati per il colpo, abbandonati nei giardinetti di via dei Giardini, a due passi dalla questura, indossavano altri indumenti. Così forse solo i filmati delle telecamere sveleranno se abbiano lasciato il centro a piedi, confondendosi tra la folla o su un'auto che li attendeva non lontano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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