Angela Merkel ha ieri telefonato a Enrico Letta. La conversazione, riportano le cronache, è stata «affettuosa». E quello che la Merkel voleva dire al premier è filtrato all'esterno. Un messaggio preciso per ribadire «l'auspicio per la stabilità politica» e per «la continuità dell'azione di governo». La circostanza si unisce alle tante altre di queste ore nell'eleggere l'attuale esecutivo come decisivo per evitare al Paese e all'Europa di precipitare in un'altra emergenza finanziaria simile a quella dell'estate 2011. Ci sta: ognuno fa la sua parte. Ma c'è qualcosa che non torna in questi messaggi apocalittici. Qualche contraddizione. Qualche paradosso. E l'impressione che la partita che si sta giocando sia sempre un po' diversa da quella che ci viene rappresentata. Il paradosso è che il rigido europeismo con il quale la cancelliera ha rivinto le elezioni richiede esattamente quanto sta per accadere nell'ipotesi di una crisi di governo. Cioè la rinuncia ai tagli fiscali. L'eliminazione da parte del governo Letta dell'imposta sulla prima casa (Imu) e dell'aumento di quella sui consumi (l'Iva) sono (o erano) l'esatto contrario di quanto chiedono Europa, Fondo monetario e Bce. Vi ricordate il commissario europeo Olli Rehn, quando 15 giorni fa è venuto in audizione alla commissione Bilancio della Camera? Ebbene, in Parlamento, Rehn non ha usato giri di parole: «L'abolizione dell'Imu desta molta preoccupazione». Al punto che per Bruxelles l'Italia avrebbe già sforato il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil, andando al 3,1. Con la crisi di governo le preoccupazioni di Rehn svaniscono all'istante: dalla seconda rata Imu arrivano 2,4 miliardi e da tre mesi di Iva al 22% un altro miliardo. Un importo totale con il quale ci si paga le missioni militari (0,4 miliardi) e la Cig in deroga (0,5), mentre i restanti 2,5 miliardi permettono di rientrare nel limite del 3% (ne bastano 1,6) con un cuscinetto aggiuntivo di 900 milioni per eventuali sorprese. La contraddizione, nel messaggio europeista della Merkel, è quindi evidente: o si tiene alla stabilità del governo delle larghe intese, o al rapporto deficit/Pil. Almeno nel breve periodo, che è l'orizzonte temporale di riferimento in questa fase. Certo, a lungo andare la stabilità politica permette di dare continuità all'azione di un governo. E di impostare politiche di crescita. Ma va anche detto che, soprattutto su quest'ultimo punto, non si sono viste fino a oggi grandi strategie. Tanto che le previsioni sul Pil 2013 sono andate progressivamente peggiorando fino ad arrivare alle attuali, comprese tra -1,7 e -2,3 per cento, le peggiori in Europa solo dopo quelle della Grecia.
Ecco allora che i messaggi che arrivano oggi dall'Europa e dalla Germania in particolare sembrano carichi, più che di apprensione, di ipocrisia politica. Quello che sembra stare più a cuore non è tanto la stabilità italiana, quanto la capacità di influenzarne le scelte politiche ed economiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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