Pillole di saggezza da un'infanzia difficile. «Donne, cominciate a ribellarvi da bambine. Io e mia sorella l'abbiamo fatto con i nostri fratelli e abbiamo vinto» confessa alla Stampa Laura Boldrini. Serve carattere, il resto viene. Dev'essere stata dura per lei, sessantottina a scoppio ritardato (è nata nel '61), ma poi ce l'ha fatta, ha vinto. È riuscita a farsi strada nonostante una famiglia benestante, un'educazione borghese, buone parentele, entrature giuste, buoni studi e bei viaggi, insomma una sfilza di privilegi. Ma l'importante non è quello, ovviamente, è ribellarsi, sennò sarebbero capaci tutti.
Lei non ha esitato, da bambina, a scontrarsi col padre, avvocato, «un uomo riservato, studioso, solitario, tradizionalista, molto religioso, amante della campagna e della musica classica», spirito conservatore che spesso si esprime in latino o greco e che cozza col fuoco rivoluzionario della giovane figlia. «I suoi princìpi non si coniugavano con la mia curiosità» dirà la Boldrini per spiegare le origini della sua rivolta casalinga. «A vent'anni prende lo zaino e salta su un aereo per andare in Venezuela a lavorare in una finca de arroz, un'azienda di riso», raccontano le agiografie della presidente di Montecitorio. Lei, cocciuta ventenne, non vuole più saperne del casale di famiglia a Jesi e di quella vita agiata ma provinciale. No, lei vuole raccogliere il riso, con le caviglie dentro l'acqua, come le contadine sudamericane che è venuta a osservare tipo animali esotici.
Chiede ad un agronomo «amico di famiglia» (ah, averceli gli amici di famiglia) e trova la finca de arroz che fa per lei, in quel di Calabozo, paesino del Sud venezuelano.
Eppure niente, stranamente non la scambiano per campesina ma per una ricca occidentale in gita equosolidale, e la accomodano dietro una scrivania, in un ufficio (ma lei rimane «molto colpita dallo stile di vita ripetitivo e privo di orizzonti dei campesinos»). Per quella ribellione, comunque, il padre non le parlerà «per otto anni».
La giovane Boldrini nel frattempo gira il Sudamerica, attraversa il Costa Rica, Panama, l'Honduras, il Guatemala, il Messico, un tour avventuroso e ribelle che però non si conclude né a Tegucigalpa né a Caracas, ma nella più confortevole New York, prima di tornare a ribellarsi in Italia. Precisamente all'università La Sapienza di Roma, mandata a studiare Giurisprudenza per ereditare la professione dal padre (non quella della mamma, insegnante di storia dell'arte e antiquaria), come usa nelle famiglie bene.
I maligni di internet - che sulla Boldrini si accaniscono con speciale perfidia - incrociano cognomi e parentele per sconfessare il mito della donna ribelle «che si è fatta da sé», e rivelare piuttosto la classica parabola da radical chic, che ama gli ultimi ma nella vita parte avvantaggiata. Falsa la parentela con Arrigo Boldrini, partigiano (nome di battaglia Bulow), ex parlamentare Pci, vera invece - lo ha scritto Perna nel suo ritratto sul Giornale - quella con Massimo Boldrini, ex vicepresidente dell'Eni, amico di Enrico Mattei. Nel 1986 diventa giornalista pubblicista, facendo rassegna stampa all'Aise (Agenzia Italiana Stampa e Migrazione) ma anche - aggiungono le voci malevole in cerca di raccomandazioni nella sua brillante carriera - all'Agi, agenzia giornalistica di proprietà dell'Eni. Quindi alla Rai, come precaria, ma pur sempre alla Rai, dove è difficile entrare senza amicizie. Nell'88 è nella produzione, come assistente, del programma di RaiDue Cocco, regia di Francesco Pingitore, quello del Bagaglino.
Proprio lei che trova disdicevole l'uso del corpo femminile in tv, e umiliante persino la rappresentazione delle mamme che servono la cena a casa, e che per questo si è guadagnata un Tapiro d'oro da Striscia. Poi, dopo la Rai, i massimi onori all'Onu e quindi la presidenza della Camera. Grandi successi, nonostante l'infanzia difficile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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