Roma - «Lo Stato può fare quello che desidera: sconterà che una buona parte di manager vada via, lo deve mettere in conto». L'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, ha messo le mani avanti: la riduzione dei compensi dei manager pubblici - cui stanno lavorando il premier Renzi e il commissario alla spending review Carlo Cottarelli - potrebbe determinare un «esodo forzato» dei dirigenti più bravi.
«Ma non c'è dubbio che me ne andrei», ha aggiunto Moretti, incalzato sulla possibilità di lasciare la sua poltrona di Piazza della Croce Rossa in caso di taglio del suo compenso. «Io prendo 850mila euro l'anno - ha ricordato - e il mio omologo tedesco ne prende tre volte e mezzo tanti: siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna anche avere la possibilità di retribuire per poter fare sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate e dove c'è del rischio ogni giorno da dover prendere». Secondo Moretti, chi gestisce un'impresa che fattura oltre 10 miliardi di dollari l'anno (come le Ferrovie), non può essere retribuito meno del presidente della Repubblica.
L'idea del duo Cottarelli-Renzi è abbassare la soglia delle retribuzioni ai 248mila euro riconosciuti all'inquilino del Quirinale. Il tetto in vigore è fissato ai 311mila euro guadagnati dal primo presidente della Cassazione. «È un'idea sbagliata: negli Usa, in Germania, in Francia e in Italia il presidente della Repubblica prende molto meno dei manager», ha concluso.
Il presidente del Consiglio non si è scomposto più di tanto. E, al termine del Consiglio Ue, ha voluto replicare al super manager. «Confermo l'intervento sugli stipendi dei dirigenti pubblici. Sono convinto che quando Moretti vedrà la ratio sarà d'accordo con me», ha detto. Palazzo Chigi non intende tornare indietro sui propri passi.
Occorre, tuttavia, spiegare la vera natura del problema. Da una parte, come detto, c'è un governo alla ricerca di risorse per tagliare le tasse sul lavoro: i 500 milioni «cifrati» sulle paghe dei manager fanno comodo. Dall'altro lato, ci sono dirigenti come Moretti (873mila euro di stipendio nel 2012) che hanno riportato le Fs in utile riducendone l'indebitamento e mettendole sugli stessi binari dei grandi d'Europa. Lo stesso si può dire per l'ad della Cassa depositi e prestiti, Giovanni Gorno Tempini (circa 1 milione), e per il numero uno delle Poste, Massimo Sarmi (2,2 milioni). Entrambi sono sopra il tetto prefissato (la norma del salva-Italia esclude le società che emettono titoli obbligazionari), ma tutti e due hanno gestito bene le loro aziende. E, soprattutto nel caso del banchiere, trovarne un altro con la stessa esperienza e capacità a minor prezzo è tutt'altro che facile. Più semplice dovrebbe invece risultare la decurtazione degli stipendi di circa 300 dirigenti ministeriali di prima fascia.
La crociata di Renzi e Cottarelli, però, sembra avere anche un altro obiettivo. Anche se le quotate a partecipazione pubblica (Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Snam) non sono inserite in questo perimetro, la richiesta di una maggiore morigeratezza potrebbe essere un segnale di ricambio nella prossima tornata di nomine.
È noto, infatti, che i supermanager «parastatali» hanno stipendi tutt'altro che umili.
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