Monti: il Parlamento non conta E a Berlino si arrabbiano tutti

Nel mirino la frase a "Der Spiegel" sul "dovere dei governi di educare le Camere". Ira degli alleati della Merkel: "Attentato alla democrazia". Lui costretto alle scuse

Monti: il Parlamento non conta E a Berlino si arrabbiano tutti

Consapevole o no, nella sua intervista allo Spiegel Mario Monti ha toccato un nervo scoperto della politica tedesca. Più o meno da due anni la Corte Costituzionale ha obbligato Angela Merkel a una specie di via crucis politica: tutte le decisioni sulla crisi del debito devono essere esaminate dal Parlamento, quelle più significative richiedono una maggioranza da legge costituzionale, i due terzi dei voti. E secondo le cronache dei giornali l'imperturbabile Angela ha avuto un solo travaso di bile negli ultimi mesi, proprio contro i supremi giudici di Karlsruhe che gli avevano piazzato sul percorso l'ennesimo ostacolo («Mi faranno uscire pazza», si è sfogata con alcuni colleghi). Liberali e democristiani bavaresi della Csu hanno utilizzato il regalo dei magistrati costituzionali per tenere sotto pressione la Cancelliera, costretta ogni volta a faticose mediazioni con gli ultrà del rigore finanziario.
Così, quando hanno letto le parole di Monti, che sembravano ridurre il ruolo dei Parlamenti nazionali a semplice comparsa sui problemi europei («Ogni governo ha il dovere di educare il proprio Parlamento»), a Berlino si sono arrabbiati un po' tutti, ma soprattutto gli uomini dell'ala anti-euro. Quotidiani come la Frankfurter Allgemeine Zeitung hanno criticato «la strana concezione della democrazia di Monti», il presidente del Bundestag Norbert Lammers (Cdu, il partito della Merkel) ha commentato che «è meglio deludere i mercati che non rispettare la democrazia», i socialdemocratici hanno deplorato la delegittimazione della partecipazione dei cittadini.
Ma per l'appunto le bordate più pesanti sono arrivate dai falchi della Csu, rappresentati dal segretario Alexander Dobrindt, che in questi giorni ha assunto il ruolo di quello che le spara grosse (contro Bce, greci, italiani, spagnoli e in genere chi non sia tedesco). «È un attentato alla democrazia», ha detto. «La brama di soldi dei contribuenti tedeschi spinge il signor Monti a un florilegio anti-democratico... Ma noi tedeschi non siamo disposti ad abrogare la nostra democrazia per finanziare i debiti italiani».
Più tardi, a pomeriggio avanzato, il premier italiano ha cercato di raffreddare le polemiche: «Sono convinto - ha scritto in una nota - che la legittimazione democratica parlamentare sia fondamentale nel processo d'integrazione europea. Non ho inteso in alcun modo auspicare una limitazione del controllo parlamentare sui governi». Ormai, però, la frittata era fatta. E le parole del ministro degli esteri di Berlino Guido Westerwelle, oltre che ai sempre più indisciplinati esponenti anti-euro della sua coalizione, sono apparse dirette anche a lui: «Il tono del dibattito è molto pericoloso», ha detto. Il tentativo di attirare l'attenzione sul piano interno «non può essere il baricentro dell'azione dei singoli Paesi europei».
Monti si può consolare pensando che gli ultrà anti moneta unica avrebbero comunque trovato il modo di attaccarlo, prerogative dei Parlamenti a parte. Nell'intervista c'erano almeno un paio di cose che ai tedeschi non piace ascoltare. Per esempio che Berlino piange, ma che l'Italia ha fino ad ora versato più di lei per gli aiuti ai Paesi in difficoltà (almeno in rapporto alla ricchezza nazionale). O che i tanto vituperati sostegni vanno anche alle banche tedesche che potrebbe essere travolte da un eventuale crac.
Del resto i tempi dell'idillio tra il premier italiano e i tedeschi («mi dicono che lì sono considerato il genero ideale») sembrano lontani. L'asse con Parigi e Madrid, da queste parti infastidisce.

E nel rapporto con la Merkel qualche crepa è ormai visibile. Anche se a Berlino continuano a preferire SuperMario rispetto al pericolo di un ritorno al potere di un vecchio ceto partitico considerato litigioso e inconcludente.

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