Roma - Il gelo di Palazzo Chigi nei confronti dell'ultima zampata berlusconiana si traduce in un blindatissimo «no comment» alle parole del Cavaliere. La situazione, sebbene molto tesa, è ancora molto confusa e il premier non vuole certo dar vita a un botta e risposta con il Cavaliere. Il «momento è troppo incerto» ammettono fonti governative, facendo intendere che Monti attenda una sorta di correzione di tiro da parte di Berlusconi.
In fondo il Cavaliere ha soltanto minacciato di riconsiderare la fiducia al governo, cosa che peraltro ha già fatto in passato. Non solo: anche Bersani ha lanciato messaggi bellicosi per cercare di tirare il governo dalla sua parte. Insomma, magari Berlusconi ha dato fuoco alle polveri sull'onda dell'ira funesta dopo una condanna che ritiene assurda e profondamente ingiusta. Una pistola carica sul tavolo, puntata sul governo, da cui tuttavia non è partito alcun colpo. Ma la rivoltella, questa volta, ha il cane alzato; e non è escluso, anche se dal governo tengono la bocca cucita, che in queste ore siano partite frenetiche telefonate diplomatiche per far pressioni sul Cavaliere. E convincerlo all'ennesima rettifica sulla lealtà data al governo. Naturalmente il personaggio chiave dell'operazione moral suasion resta Gianni Letta, da sempre l'uomo che tiene i canali aperti con il Quirinale. Proprio Napolitano, ieri, ha incrociato il premier nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in occasione dei funerali del caporalmaggiore Tiziano Chierotti, ma del breve colloquio intercorso tra i due nulla trapela. Probabile, tuttavia, che nelle stesse ore si siano alzate in volo le colombe pidielline per scongiurare lo strappo definitivo. In effetti ci sono segnali evidenti che dimostrano come la posizione strong del Cavaliere non venga sottoscritta dall'intero partito. E anche se arrivasse l'ordine di staccare la spina all'esecutivo, non tutti i pidiellini sarebbero disposti a eseguirlo.
Di sicuro la situazione s'è ingarbugliata e l'azione del governo Monti risulta alquanto impantanata. Non solo a causa della linea ondivaga del Pdl, posto che appena una settimana fa era stato Bersani a minacciare il governo di non votare la legge di stabilità. Insomma, il Professore si sente sulla graticola ma soprattutto teme che tutti gli sforzi fatti fino a ora da Palazzo Chigi possano essere vanificati da quella che ritiene essere una campagna populista. Se anche il premier ammette che molte delle sue misure abbiano effetti recessivi sull'economia, è però ancora convinto che non si possa allentare la cinghia del rigore. Per cui mal sopporta le proposte berlusconiane sul dietrofront all'Imu, sull'attenuazione del potere di Equitalia e le vibranti accuse nei confronti della Germania della Merkel. Sono le cosiddette «politiche creative» che continuano a preoccuparlo, a prescindere dallo stato di salute del suo governo.
Ma c'è un altro campanello d'allarme che trilla forte nelle orecchie del premier e si chiama «grande palude»: ossia una lunghissima ed estenuante campagna elettorale che duri sei mesi, senza che all'orizzonte si veda lo spiraglio di un esito certo e - agli occhi del premier - auspicabile. Monti continua a vedere il diluvio dopo di sé, scatenato dalle nubi populiste che hanno nomi ben precisi: Grillo, Vendola e, da qualche giorno, anche Berlusconi. Ecco perché qualcuno non esclude l'opzione: scioglimento anticipato delle Camere, elezioni, presa di coscienza dell'ingovernabilità totale e Monti bis. Ma visto che nel partito di maggioranza relativa, il Pdl, continua a regnare il caos, la parola d'ordine è nervi saldi. E silenzio.
L'unico a parlare è il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini: «Capisco lo stato d'animo di Berlusconi ma non ho l'ansia che il Parlamento stacchi la spina, non ho il respiratore artificiale e so respirare da solo... - dice con ironia - Berlusconi ha parlato di pressione fiscale e recessione. Ma non è giusto pensare che il governo sia un assatanato tifoso delle tasse».
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