Roma - Una cosa è certa, il coraggio non gli è mancato. Per Mario Monti presentarsi in tribuna a Kiev a «godersi» la disfatta azzurra nella finale di Euro 2012 contro la Spagna, indossando suo malgrado lo scurissimo abito da capro espiatorio per il flop più doloroso, non dev’essere stato facile. L’unica speranza per il Professore, il cui feeling col pianeta calcio è scarsino, era una vittoria di Buffon e compagni. Il trionfo gli avrebbe donato un’aura apotropaica, ma la partita s’è messa subito malissimo. E il malcapitato professore, pur non avendo marcato lo sgusciante Fabregas (quello era Chiellini), è finito lo stesso al centro degli strali di mezza nazione, sbeffeggiato sui social network e additato come responsabile della disfatta. Più di Prandelli, Cassano e Balotelli. Non canta l’inno e non va bene. Ride diplomatico tra le autorità dopo le quattro pere spagnole e va pure peggio. Parla con la Rai dopo il novantesimo e manda i tifosi azzurri in bestia.
Il termometro, su Twitter, è tutto nell’hashtag #Monti: un compendio di spietatezze senza esclusione di colpi. C’è chi si amareggia per «Monti che ride in tribuna», chi si limita a un lapidario «imbarazzante», chi - e sono tanti - lo attacca perché «non sa nemmeno l’inno», e le labbra serrate diventano un «disonore assoluto».
Qualcuno chiosa su «Monti gufo-robot», altri propongono di «sottoporre a Daspo il nostro premier, se deve andare a portare sfiga e non cantare nemmeno l’inno stia a casa». A farla da padrona non è però solo l’irrazionale patente di jettatore (suggerita dalla fredda statistica: prima presenza a Euro 2012, prima sconfitta azzurra), ma anche una certa insofferenza popolare verso l’uomo del rigore perenne. Tale da spingere qualcuno a ipotizzare un ruolo di Monti nello 0-4 meno soprannaturale e più pragmatico: «La verità è che i calciatori, vedendo Monti in tribuna, han temuto di pagare il 105% di tasse sul premio vittoria». E l’intervista nel dopopartita al microfono di Amedeo Goria non fa che peggiorare le cose. Monti prova a fare il tifoso deluso, dice che «stasera ci siamo svegliati da un sogno». Ovviamente non basta. «Ma questo ha sempre il compito di gettarci l’acqua in faccia?», twitta qualcuno in tempo reale mentre il premier ancora parla, mischiando calcio e crisi, sacrifici e «luci in fondo al tunnel» in quello che un tweet riassume drasticamente come «discorso alla nazione in un momento sbagliatissimo». Lo spazio da opinionista non lo salva. Le considerazioni sul valore del secondo posto nemmeno. Qualcuno lo difende almeno dalle accuse di portare iella («Accetto tutto, ma dire seriamente che la colpa è di Monti proprio no») in un sussulto di illuminismo, ma in tanti gli rinfacciano una colpa peggiore: l’incoerenza.
Lui, a Kiev, non doveva esserci. Perché un mese fa aveva proposto uno stop di tre anni al calcio nostrano, travolto dall’ennesima puntata di calciopoli. Credeva di guadagnare consenso, ma non s’è reso conto di quanto quella provocazione fosse impopolare. L’insofferenza verso i privilegi è benzina sul fuoco dell’antipolitica e dell’anticasta, ma lambisce solo di striscio gli idoli pedatori, ai quali quasi tutto è consentito e perdonato.
Così su Twitter gli italiani, immancabilmente, gli ricordano quell’uscita: «Ma non voleva fermare il calcio? E la coerenza?», twitta un antimontiano incavolato. Ma forse l’accusa peggiore è nell’ultimo tweet: «Spagna-Italia 4-0. Monti: abbiamo fatto un’impresa.
Qualcuno gli ha spiegato le regole del gioco?». Povero premier. Prima condannato per non aver commesso il fatto (altro che sfiga, la Spagna ci ha sminuzzati) poi preso in giro per la sua incompetenza. Stavolta il tecnico ha sbagliato panchina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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