Ormai è una moda. Tutti a dire che l'Europa dei burocrati, delle tasse, dei sacrifici, del tetto del debito insormontabile, di chi non crede che "abbiamo fatto i compiti" non va bene. Salvo poi salire sulle barricate e gridare al populismo appena qualcuno - non solo in Italia - attacca l'Ue o paventa l'uscita dell'Italia dall'Eurozona.
Un atteggiamento a cui ci ha abituato Enrico Letta. Da quando è premier non fa che battere i pugni (a parole) sui tavoli europei perché si spinga la crescita e si faccia finalmente qualcosa per risolvere il problema della disoccupazione giovanile. Eppure l'Europa è indispensabile per il presidente del Consiglio italiano, che anzi se la prende con gli antieuropeisti. "Fermarsi a guardare la pagliuzza delle differenze rispetto alla grandezza globale è pura miopia che può far vincere una singola campagna elettorale ma alla fine costruire solo macerie", ha avvisato pochi giorni fa.
A dargli manforte c'è anche Giorgio Napolitano, preoccupato ora per la scatola dell'Unione europea più che per il contenuto. "Si è rimpicciolita l’immagine dell’Europa", ha detto oggi chiedendo di imbellettare l'Europa, "restituirle tutte le sue dimensioni", ridarle slancio "per riconquistare consenso, sapendo che è molto difficile". E a provato a spaventare i detrattori con lo spettro dell'irrilevanza di un Paese che si dichiari autosufficiente "in un mondo così cambiato". Eppure lo stesso Capo dello stato critica "la tendenzadelle istituzioni europee a ripiegarsi su se stesse e parlare solo dei problemi interni all’Ue", a discutere "sempre e solo di condizioni economiche e finanziarie", senza nessun riferimento alla politica estera. Ma si dice turbato dalle pulsioni antieuropee che si diffondono a macchia di leopardo in tutto il continente. Contro di loro, dice Napolitano, "non possiamo opporre l’euroretorica", ma "dare una rappresentazione critica dello stato dell’Europa".
E poi ci sono quelli che a vario titolo si dimostrano diversamente europeisti. Come Massimo D'Alema che teme una forte astensione alle prossime Europee o - peggio - l'arrivo in Parlamento Ue di "forze populiste" che lo renderebbero "difficilmente governabile". E anche lui ovviamente chiede "un'alternativa" alle politiche di austerità: "La forza della politica è che le regole si cambiano, altrimenti siamo prigionieri di una gabbia", afferma.
Gli fa eco Pierferdinando Casini che, manco a dirlo, ripete a pappagallo le parole di Napolitano: "Oggi il populismo antieuropeo non si può battere con l’euro retorica. Le vecchie parole dell’europeismo tradizionale, non bastano più. Bisogna dire che alcune cose vanno cambiate". E aggiunge: "L’atteggiamento verso l’Europa è il vero spartiacque della politica, tra chi è dentro la linea dell’Ue, pur volendola cambiare, e chi spara da fuori e la vuole demolire. Se si è dentro bisogna capire che le cose vanno cambiate".
Poteva forse mancare l'europeista per eccellenza: Romano Prodi.
Persino lui ha detto che l'Europa è cambiata e "non mi piace". Anche se continua a difenderla: "È una grandissima cosa, e quindi dobbiamo sostenerla".L'impressione però è che le critiche - anche quelle costruttive - restino soltanto parole.
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