Con fretta sospetta, ieri Laura Boldrini si è precipitata a separare i suoi destini da quelli del partito che non solo la ha portata in Parlamento, ma la ha anche proposta come presidente della Camera a Pier Luigi Bersani (una scelta che il Pd non perdona al suo precedente leader).
Si dice molto «dispiaciuta» per la scissione di Sel, la Boldrini. Ma fa capire che non sono fatti suoi: «Io mi sono presentata alle elezioni come indipendente - spiega - e il secondo giorno che ero lì sono stata eletta presidente. Non ho partecipato al dibattito di Sel e al fatto che si sia arrivati a questa decisione». Peraltro, precisa, come presidente della Camera «non devo avere un marchio di appartenenza, tanto più che sono un'indipendente. Mi spiace che in Sel ci sia stato questo strappo, ma non è che questa situazione mi rende orfana». Bye bye Nichi, che tempo fa aveva persino pensato a lei come futuro leader della sinistra non Pd: la Boldrini non ha alcuna intenzione di immischiarsi nei guai di Sel. Ci tiene a preservare la sua immagine super-partes, soprattutto da quando Giorgio Napolitano ha rotto il tabù e auspicato che il suo futuro successore sia «una donna». Lei, che non solo è donna ma (grazie a Vendola e Bersani) è anche la terza carica dello Stato, un pensierino ce lo ha fatto. A spingerla a giocare questa ardita partita, dicono le malelingue di Montecitorio, ci sarebbe anche il segretario generale della Camera Ugo Zampetti, mentore della Boldrini nei meandri del Palazzo, il cui sogno è quello di coronare la propria carriera di grand commis (il suo mandato, dopo 15 anni, scade a fine 2014) al Quirinale. Sogno che già gli è sfuggito un anno fa, quando venne affossato il candidato che lo avrebbe portato con sé al Colle, Franco Marini. Di qui la cura ossessiva della propria immagine (vedi il brain storming di Titignano cui ha invitato come consulenti Gad Lerner e altri «esperti») e l'assiduo presenzialismo politico della presidente. Anche se resta un grosso ostacolo sul suo cammino, come spiega un dirigente parlamentare del Pd: «Se sarà questo Parlamento ad eleggere il nuovo capo dello Stato, non credo che la Boldrini troverebbe molti voti: né da Fi, né dai grillini che la vedono come la peste, e tanto meno da noi».
Da ieri, neppure da Sel, peraltro ormai in via di sbriciolamento. Per ora sono quattro i fuoriusciti alla Camera, a cominciare dal capogruppo Gennaro Migliore. Ma altri ne dovrebbero arrivare. Soprattutto se la presenza di Ncd nel governo, decisamente eccessiva vista la performance elettorale alle Europee, verrà ridimensionata tramite rimpasto (Maurizio Lupi viene dato in uscita): a quel punto, si spiega, si potrà dire che l'esecutivo Renzi ha cambiato segno politico, spostandosi a sinistra, e sarà più semplice per gli ex Sel dar vita ad un raggruppamento dentro la maggioranza. Non nel Pd, dove una parte dei parlamentari fa le barricate contro chi (da sinistra ma anche da Scelta civica fino a Casini, che al Senato tenta di formare un gruppo di ex centrodestra da portare in dote a Renzi) preme per entrare: con la riforma del Senato i posti si ridurranno drasticamente, e la concorrenza esterna non è ben vista.
Quanto a Migliore, che ne ha discusso con Lorenzo Guerini e Francesco Bonifazi, si potrebbe aprire per lui la partita napoletana: il sindaco Luigi De Magistris, che pure ha tentato una riconversione renziana ma con scarso successo, è sempre più in crisi. Ma il Pd non ha candidati forti per la successione: Migliore, che è stato capogruppo del Prc al Comune di Napoli per due consiliature, potrebbe essere la soluzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.