Roma - I fatti, così come li racconta Franco Coppi nell'aula Brancaccio della Cassazione, sono di una semplicità disarmante. Silvio Berlusconi non è colpevole di frode fiscale: il reato non c'è com'è stato configurato nelle due sentenze che lo hanno portato all'ultimo grado di giudizio, perché riguardano un comportamento «non penalmente rilevante».
Con un'arringa che fa capire, anche ai più digiuni di diritto, perché merita appieno il titolo di principe dei cassazionisti, il legale del Cavaliere chiede l'annullamento della pronuncia d'appello, «frutto di un pregiudizio cementato dal collante del cui prodest» e di un «abnorme travisamento della prova», per descrivere il leader del Pdl come «il dominus di una catena truffaldina», mentre non gestiva più il suo impero dalla discesa in politica del '94 ( come dimostrerebbero altre sentenze, Mills e Mediatrade, mai acquisite).
Solo in subordine, Coppi chiede l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello: se la sua tesi non venisse accolta il reato di frode fiscale andrebbe derubricato in quello di false fatturazioni. La pena sarebbe più bassa e, per i termini ridotti di prescrizione, sarebbe già estinto o a rischio di estinzione.
«Berlusconi doveva essere assolto già in primo grado - dice l'avvocato - le prove sono state travisate e i fatti che gli vengono contestati non sono di rilevanza penale».
Il professore parla con uno tono sempre misurato e più che rispettoso della corte, spesso si scusa per le ripetizioni di tesi già espresse dagli altri legali. Comincia a parlare alle 17 e 30, dopo Niccolò Ghedini e per oltre due ore inaugura, nella difesa di Berlusconi, uno stile tutto nuovo: spiega con garbo, argomenta con rigore, analizza, documenta e smonta le accuse con motivazioni che appaiono più che convincenti.
Premette, citando il giurista Francesco Carrara, che «quando la politica entra dalla porta del tempio, la giustizia fugge impaurita dalla finestra». È solo con le ragioni del diritto che Coppi vuole vincere.
Così, se nella prima parte dell'arringa entra nel merito delle sentenze, sempre sul piano della legittimità, nella seconda tira fuori l'asso nella manica e, con il sorriso sulle labbra, distrugge alla radice la ragione stessa del processo.
In punta di diritto, il professore afferma che per questi fatti si poteva parlare semmai di «abuso di diritto» con finalità di «elusione» delle tasse, cioè solo di un illecito amministrativo e tributario. Che potrebbe avere conseguenze penali in una precisa circostanza qui assente: il contrasto con una disposizione antielusiva.
Per Coppi, della legge 74 del 2000 sui reati tributari, va preso in considerazione l'articolo 2 (dichiarazione infedele) e non il 4 ( dichiarazione fraudolenta), com'è stato fatto per la condanna di Berlusconi. «Siamo fuori - spiega - dall'ambito di applicazione dell'articolo 2 e della frode fiscale, che comporta fatture per operazioni inesistenti». Quelle per l'acquisto di diritti tv, sono invece operazioni reali, di società «non fittizie», con pagamenti «fatturati» e un rincaro di prezzo «giustificato». Cambia, dunque, la loro stessa «fisionomia».
L'avvocato cita diverse sentenze della Cassazione civile, sezione tributaria, oltre a pronunce delle Sezioni Unite e verdetti come quello per gli stilisti Dolce e Gabbana.
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