Roma - Arriverà alle 10 e mezzo sulla papamobile scoperta e ci sarà il sole. Attraverserà piazza San Pietro, salirà sul sagrato davanti alla basilica. Pregherà, pronuncerà l'ultimo discorso pubblico e darà la benedizione con il suo sorriso gentile e i gesti misurati. Poi tornerà a fendere la folla, sulla jeep bianca giungerà fino a via della Conciliazione, saluterà il popolo che lo acclama e non vorrebbe lasciarlo andare. Poco dopo mezzogiorno sarà di nuovo nel suo appartamento, «nascosto al mondo». E di persona non lo vedremo più. Domani dopo le 20, cioè dopo le sue dimissioni e l'avvio della sede vacante diverrà «pontefice emerito» o «papa emerito». L'ultima udienza di Benedetto XVI è il saluto a un amico che parte per non tornare. C'è bisogno di vederlo, abbracciarlo, prenderne le ultime parole, fargli sentire che non è solo e non lo sarà, anche se magari si fatica a capire fino in fondo perché ha deciso così. Ma il giorno della partenza non ci si attarda a discutere: l'importante è esserci, fissare l'ultima immagine, catturare il ricordo che tenga compagnia.
Joseph Ratzinger è l'amico timido che scopri a poco a poco. Mite, profondo, essenziale, che non concede nulla allo spettacolo o al sentimentalismo, tantomeno in questi giorni di fine pontificato. Ha accennato alla sua decisione con poche parole per non alimentare rimpianti, ha ringraziato tutti e ha invitato a pregare per lui. Ora le domande si fanno più pressanti, come per una persona cara lontana: come sta, che cosa fa, sarà contento, come guarderà al futuro. Sentirà la nostra mancanza? Certo, esattamente come noi avvertiamo lo strappo. Ma papa Ratzinger ha rassicurato tutti e lo farà anche oggi come domenica all'Angelus: sereno, deciso, afferrato da Cristo.
L'ultima udienza sarà una serie di flash-back che si rincorreranno sotto il colonnato durante l'attesa. La sua prima apparizione alla Loggia delle benedizioni, con i polsini di una maglia nera sotto le maniche della tunica invece che una camicia bianca con gemelli. Il papa a Rebibbia, che non condanna i reclusi ma si dice «commosso dalla vostra amicizia». Il teologo abituato a una vita riservata che entusiasma le piazze e riempie stadi e aeroporti. L'uomo di fede che sfida la ragione di intellettuali, politici, giuristi nelle capitali culturali di un'Europa smarrita, al Collège des Bernardins di Parigi, alla Westminster Hall di Londra, al Bundestag di Berlino. Le lacrime davanti a persone abusate da preti pedofili. Le denunce della «sporcizia che deturpa il volto della Chiesa».
E poi gli incontri fatti di domande e risposte «all'impronta», come l'ultima «piccola chiacchierata» di 10 giorni fa con i preti di Roma a parlare del Concilio Vaticano II: episodi di cinquant'anni addietro raccontati come fossero appena successi, tre quarti d'ora a braccio senza perdere il filo, in una lingua che non è quella materna, interrompendosi una sola volta per un sorso d'acqua. O la calda sera a Milano dell'incontro con le famiglie, quando una bimba vietnamita chiese a Benedetto XVI di «quando eri piccolo come me» e il vecchio papa rievocò le domeniche in Baviera, la musica, i pranzi, le passeggiate nei boschi, la gioia per le cose piccole.
«Se cerco di immaginare un po' come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza», confessò: eppure erano i tempi «della guerra, della dittatura, della povertà» che non impedirono al giovane Joseph Ratzinger di crescere «nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. Penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare a casa, andando verso l'altra parte del mondo». Così disse Benedetto XVI quel 2 giugno 2012 all'aeroporto di Bresso davanti a 500mila persone, e così ripeterà a se stesso ora che ha preso la strada del ritiro. «È buono essere un uomo»: quanti di noi, malati di modernità, giovani o anziani, lo potrebbero ripetere con la stessa immediatezza?
L'ultima udienza di Benedetto XVI assomiglierà alle precedenti. Sarà carica di certezze semplici, come quelle dell'ultimo tweet: «In questo momento particolare, vi chiedo di pregare per me e per la Chiesa, confidando come sempre nella Provvidenza di Dio».
Ma anche di domande, come quelle riproposte nel penultimo Angelus: «Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l'io o Dio?». Un papa che rinuncia pone tutti di fronte a questo bivio. Dice: Dio è la certezza che permette di vincere le paure, guardate a lui, non a me. «Addio», appunto. E questo saluto perde l'ultimo velo di tristezza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.