Roma - Insorgono politici e giornalisti. Di destra, sinistra e centro. C'è chi si appella al Quirinale, chi al Parlamento, chi al ministro della Giustizia. Tutti protestano perché nel nostro Paese, unico tra quelli occidentali, un reato d'opinione può portare dritti in galera.
Come nel caso di Alessandro Sallusti, che il rischio-carcere ora lo vede vicino. A pochi giorni dalla sentenza della Cassazione, che il 26 settembre potrebbe rendere esecutiva la condanna della Corte d'appello, una folla trasversale di sostenitori esprime solidarietà al direttore de Il Giornale, sdegno per la decisione dei magistrati e reclama una riforma delle leggi sulla diffamazione.
«In quale Paese al mondo - si chiede in una nota l'Ordine dei giornalisti - si può essere condannati a 14 mesi di detenzione per omesso controllo, in relazione ad un articolo scritto da altri, con una sanzione che passa nei due gradi di giudizio da 5.000 euro di multa al carcere?». La questione è tanto seria, per l'Odg, da richiedere l'intervento della Guardasigilli Paola Severino. In serata arriva in redazione la telefonata di solidarietà del presidente del Senato Renato Schifani al direttore. Quella di Sallusti è una «condanna mostruosa», rincara la dose la Fnsi: «È inaccettabile che un giornalista per le sue opinioni rischi la galera». Il parlamento deve intervenire, per la Fnsi, e abolire «norme sulla diffamazione e le sanzioni restrittive della libertà personale del giornalista retaggio di sistemi non compatibili con la democrazia, con le carte universali dei diritti umani, con la Carta dei diritti europei». E il segretario del Pdl Angelino Alfano non ha dubbi: «Solidarietà ad Alessandro Sallusti che, ricordo, è direttore di un giornale in una democrazia moderna, liberale e adulta come l'Italia e non in un regime dittatoriale con grosse limitazioni alla libertà di espressione che hanno tanto il sapore di terre lontane, epoche passate e tempi che non vorremmo mai più veder tornare».
La questione tocca anche il governo Monti. «Mi sembra abnorme - dice il ministro per l'Integrazione Andrea Riccardi - che un direttore di un giornale possa finire in carcere, con una condanna a 14 mesi senza condizionale, per omesso controllo in un caso di diffamazione a mezzo stampa». Il Pdl, dai vertici alla base, si schiera in difesa di Sallusti. I coordinatori Sandro Bondi e Ignazio La Russa si augurano che la Cassazione rimedi alla condanna e il parlamento intervenga sulla norma. Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato, parla di «una vicenda grave che tocca anche quei principi fondamentali della nostra Costituzione, come la libertà di pensiero». Per il suo omologo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, è «uno scandalo per la democrazia». «La vicenda - dice il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni- dimostra l'assurdità del sistema Italia, dove i cittadini sono spesso in balia di leggi sbagliate o di decisioni discrezionali». Mariastella Gelmini definisce la condanna «una vera e propria follia», un'«assurdità spaziale» la definisce Anna Maria Bernini, un segnale che l'Italia «ha problemi con la libertà» per Gaetano Quagliariello. Franco Frattini invita a «sanare questa anomalia», Maurizio Lupi parla di mobilitazione per impedire che Sallusti «subisca una carcerazione che ha il sapore di una punizione per le sue idee», Altero Matteoli spera che la Cassazione impedisce «questo scempio». Protestano Stefania Prestigiacomo, Licia Ronzulli, Giancarlo Mazzuca.
Almeno sul caso Sallusti i due maggiori partiti sembrano uniti. Chiede l' intervento «immediato» della Severino e una modifica legislativa Giorgio Merlo del Pd. «Il carcere per le opinioni espresse su un giornale - dice Vincenzo Vita - è un residuo di epoche andate». Manuela Ghizzoni garantisce il suo impegno in parlamento: «L'ipotesi di carcerazione per reati di opinione non è compatibile con uno Stato di diritto». Mario Adinolfi chiede l'intervento urgente di Giorgio Napolitano, anche come presidente del Csm. L'Udc si unisce al coro: la politica deve «intervenire in tempi brevissimi per riformare una legge antiquata, ingiusta e lesiva del diritto di informazione», per Roberto Rao.
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