Roma - Basta un cognome. Per evocare una lunga tradizione: Leone. Certo l'attuale direttore Intrattenimento, Giancarlo, non di primo pelo in Rai. E la sua storia va ben oltre la famiglia e il padre presidente della Repubblica. Però la sua ascesa alla poltrona della prima rete italiana, Raiuno, è sintomo di quanto sta accadendo in viale Mazzini. Dove, alla fine di una lunga e feroce contrapposizione tra destra e sinistra, si torna a uno spirito democristiano, rimasto in questi anni sommerso, defilato, nascosto sotto altri simboli o custodito nei cuori. Ora rispunta con vesti diverse, più moderne e guidate da alcuni comandanti nuovi, e pure professionalmente stimati, ma sta di fatto che si è tornati alla natura vera della tv di Stato, centrista per definizione. Di quel centro tendente ora a destra, ora a sinistra, che rispecchia, come sempre avvenuto nella storia della nostra televisione pubblica, il potere al comando del Paese.
Se si mettono in fila, infatti, i nomi del pacchetto che domani il dg Gubitosi presenterà per l'approvazione al cda, si materializzano filosofia e pensiero dell'area che gravitano intorno al governo Monti. Dicevamo di Giancarlo Leone: manager di lungo corso, già vice direttore generale e responsabile dei palinsesti, è nato e cresciuto professionalmente in Rai, sbocciando nelle ere più marcate a sinistra, ma sopravvivendo bene anche alle varie stagioni berlusconiane. Ora, dopo un passaggio non troppo felice alla direzione Intrattenimento, si appresta a prendere il posto di Mauro Mazza nella rete delle famiglie italiane, degli spettatori più anziani e meno socialmente forti, ma anche molto più numerosi e sotto continua attenzione degli ambienti cattolici. Un uomo giusto al posto giusto in questo momento storico di grande confusione e incertezza sugli esiti delle elezioni.
Ma se la nomina di Leone era data per scontata, a quella di Mario Orfeo si è arrivati più laboriosamente, anche perché solo da pochi mesi era alla guida del Messaggero. Se il cda di domani approverà, come è certo, il giornalista andrà alla direzione del Tg1. Dunque, dopo la schieratissima era minzoliniana e la parentesi di Alberto Maccari in pensione da dicembre, sulla poltrona della principale e più istituzionale fonte di informazione del Paese arriverà il direttore del quotidiano della famiglia Caltagirone imparentata direttamente con Casini, il leader, appunto dell'Udc (il suo posto al Messaggero dovrebbe essere preso dal vice Osvaldo De Paolini). Per Orfeo, vale lo stesso discorso di Leone, anche se non si tratta di un uomo Rai: stimato giornalista, si è creato negli anni una credibilità super partes e un gradimento in tutti gli ambienti, certamente forte in quello montiano. Quando era al Tg2 seguiva una linea che poteva riassumersi nel fare un Corriere della Sera versione telegiornale, insomma un'informazione a vocazione istituzionale ma rigorosa. Nato a Repubblica, non è identificabile però con il «partito» del quotidiano di Ezio Mauro.
A Raidue è candidato Angelo Teodoli, al posto di Pasquale D'Alessandro. L'attuale direttore dei palinsesti, un tecnico a tutto tondo, difficilmente inquadrabile politicamente (ha lavorato con il forzista Del Noce e il leghista Marano), ha un cuore a sinistra ma è apprezzato e sostenuto dall'area casiniana. Per lui si profila più una punizione che una promozione: avrà infatti il compito di rimettere in piedi la disastrata seconda rete, impresa assai improbabile. Sulla stessa rete, al Tg2 resta Marcello Masi, pure di area centrista.
Discorso a parte, come sempre, per Raitre, la rete a sinistra per eccellenza: qui si profila un cambio tutto interno tra l'attuale direttore Antonio Di Bella e il presentatore di Agorà, Andrea Vianello. Il primo, che non adora le mansioni dirigenziali, ha accettato serenamente l'incarico di corrispondente da Parigi, il secondo garantisce la linea tradizionale del terzo canale.
Insomma, in tutto questo una cosa è chiara: il Pdl, dopo aver lungamente combattuto per accaparrarsi più potere nella tv pubblica, ora, tra pensionamenti, defenestramenti e ultime nomine, non occupa più alcuna poltrona importante. E anche gli esponenti in cda si apprestano a sostenere i nuovi vertici per avere almeno ancora qualche voce in capitolo.
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