Ostaggi della «diplomazia» I 500 giorni in India dei marò

Tanto è il tempo trascorso invano tra vertici come quello di ieri a Palazzo Chigi. Ecco le domande che restano senza risposta

I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

I marò sono trattenuti in India da 502 giorni ed il processo a Delhi, se andrà bene, comincerà a settembre e potrebbe durare un paio di mesi. Secondo una fonte governativa de il Giornale «l'obiettivo è ottenere un'assoluzione per mancanza di prove o in subordine l'omicidio involontario che prevede una condanna dai 2 ai 6 anni».

Dopo 502 giorni il punto cruciale, mai chiarito ufficialmente dalle autorità italiane, è cosa sia veramente accaduto il 15 febbraio 2012, quando Massimiliano Latorre e Salvatore Girone giurano di aver sparato in acqua per fermare una sospetta imbarcazione pirata. Gli indiani li accusano fin dal primo giorno di avere ucciso due innocenti pescatori. Ieri sul Tg5 Toni Capuozzo ha mostrato nuovi indizi, che dimostrano le incongruenze, se non peggio, della ricostruzione indiana. Dopo 502 giorni il governo ha partorito sul caso marò un topolino.

Ieri il presidente del Consiglio Enrico Letta ha convocato una riunione di un'ora con i responsabili dei dicasteri interessati, Mario Mauro (Difesa), Emma Bonino (Esteri), Angelino Alfano (Interno), Anna Maria Cancellieri (Giustizia), l'inviato speciale Staffan De Mistura e l'ambasciatore in India, Daniele Mancini. Lo scarno comunicato di Palazzo Chigi sottolinea l'impegno del governo per «una soluzione equa e rapida» e annuncia che «le azioni intraprese» verranno «ulteriormente» intensificate. L'unica notizia che trapela è la partenza per Delhi, la prossima settimana, di De Mistura. La polizia indiana antiterrorismo doveva già chiudere l'inchiesta, ma sta allungando i tempi. A Delhi vogliono interrogare gli altri quattro marò che erano a bordo della Lexie. L'Italia non li rimanderà in India e ha proposto la deposizione in videoconferenza prevista dalla legge indiana. L'ultimo civile, il comandante in seconda della Lexie, che pure deve andare a deporre, si recherà a Delhi entro il 21 di questo mese.

L'Italia punta a far chiudere l'inchiesta a fine luglio ed aprire il processo a Delhi in settembre. In aula la prima richiesta sarà il riconoscimento della giurisdizione italiana appellandosi all'Unclos, il diritto del mare dell'Onu. Difficile che passi e allora si entrerà nel dibattimento vero e proprio per dimostrare che non esiste la prova inconfutabile della colpevolezza dei marò. Molto dipenderà dall'atto di accusa della polizia antiterrorismo, che potrebbe essere più «morbida» di quella del Kerala. Il peschereccio, che era semi affondato, è stato tirato a secco, come rivela l'Ansa, ma l'acqua di mare ed i monsoni hanno reso quasi impossibile utilizzarlo come prova. I fori dei proiettili sono appena riconoscibili. Non a caso la dubbia e confusa perizia balistica indiana sarà un cavallo di battaglia della difesa dei marò.

Ieri il Tg5 ha rilanciato con nuove informazioni la tesi della piena innocenza di Latorre e Girone. Il St.Anthony sarebbe stato colpito in un altro incidente, probabilmente con una nave greca, l'Olympic Flair, che lo stesso giorno, ma alle 22.20 locali, aveva dichiarato un tentativo di arrembaggio. A bordo c'erano delle guardie private della compagnia privata Diaplous, che secondo l'armatore sarebbero state disarmate. In realtà, come ha mostrato il Tg5, i contractor greci utilizzano dei razzi non letali che lanciano cariche assordanti e accecanti. Freddy Bosco, il proprietario e comandante del St.

Antony, appena giunto nel porto indiano di Neendankara con i cadaveri dei due pescatori ha parlato di «un grande rumore», che lo aveva svegliato quando i suoi pescatori sono stati colpiti. Neppure calcolando la distanza fra il luogo dell'incidente con la nave italiana ed il porto indiano di attracco del St.Antony, con i due corpi a bordo, i tempi quadrano.

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