Il partito insorge: "Siamo all'eversione"

"È quasi un colpo di Stato". E fra i colonnelli cresce la voglia di staccare la spina al governo dopo la sentenza choc

L'ex ministro Renato Brunetta
L'ex ministro Renato Brunetta

Roma - Un partito sotto choc. Tremano i polsi a tutti e il coro è: «Siamo al limite dell'eversione e quindi del colpo di Stato». I telefonini dei parlamentari sono roventi e cresce la voglia di staccare la spina al governo Letta. Il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, è tentato di disertare il vertice odierno di maggioranza. Deciderà in queste ore ma in chiaro dice: «Tutto ciò non è più accettabile. È arrivato il momento di dire definitivamente basta a questo attacco alla libertà». E ancora: «Questa sentenza fa paura: non solo e non tanto perché cerca di assassinare moralmente e politicamente Berlusconi, ma perché mostra agli italiani in che mani sia oggi la giustizia». Provocato su Napolitano, Brunetta dice solo: «Non amo tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica, sta alla sua coscienza come primo magistrato d'Italia dire qualcosa o no».
Effetti sull'esecutivo? A caldo tutti vorrebbero che sì, l'effetto lo abbia eccome. Sandro Bondi parla chiaro: «È assurdo pensare che l'attuale governo possa lavorare tranquillamente mentre si massacra politicamente, attraverso un sistema giudiziario impazzito, il leader di uno dei partiti che lo sostengono. Soprattutto bisogna prendere una decisione prima che questa magistratura conduca l'Italia alla rovina». Fabrizio Cicchitto mostra le unghie: «Così la pacificazione salta, ma non è responsabilità nostra - dice - Questa è un'operazione che punta a far saltare il quadro politico esistente, ma all'irresponsabilità di questo nucleo di magistrati, e alle forze editoriali e finanziarie che lo sostengono, va risposto con responsabilità per quel che riguarda l'aspetto politico».
Anche Renato Schifani non resta muto: «Una sentenza abnorme e surreale, con un colpevole e nessuna vittima - dice il capo dei senatori - D'altronde, aspettarsi dal tribunale di Milano una decisione favorevole al presidente Berlusconi è praticamente impossibile». Angelino Alfano invece dice di aver sentito Berlusconi al telefono: «Gli ho detto di tener duro, di andare avanti». Paolo Bonaiuti ragiona così: «La durezza inusitata e sbalorditiva di questa condanna milanese, che va addirittura al di là delle richieste già pesantissime dell'accusa, è la conferma dell'intenzione di eliminare il presidente Berlusconi dalla scena politica»; mentre per Raffaele Fitto: «Una sentenza pazzesca già scritta da prima che iniziasse il processo da un vero e proprio plotone di esecuzione che è andato addirittura oltre le richieste dell'accusa, peraltro rappresentata oggi in aula per l'occasione dal capo della Procura in persona: il presunto concusso, che non si ritiene tale, sarebbe stato addirittura costretto e la presunta sfruttata, che nega di essere tale, non è mai stata neanche ascoltata».
Mariastella Gelmini giura: «Questa sentenza porta un'altra pietra al monumento della magistratura come contro potere giudicante di chi sia titolato o meno a governare il nostro Paese. Berlusconi è, nonostante tutto, più forte di prima. Cresce il numero delle persone che gli sono vicine anche per questa persecuzione che va avanti da venti anni». Luca D'Alessandro, il primo a intervenire, lamenta: «Questa sentenza è uno stupro allo stato di diritto».

E Daniela Santanchè, presente in aula a Milano, denuncia: «Uno schifo, è una sentenza politica che con la giustizia non ha niente a che fare». Poi parla dell'esecutivo: «La giustizia e il governo sono cose diverse; se il governo fa le cose che servono il nostro sostegno è senza se e senza ma». Altrimenti...

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