«L'ordine del giorno Grandi è già pronto»: la battuta circola tra i capannelli di parlamentari del Pd, già intenti a fare il toto-ministri del governo Renzi uno, e illuminati dalla prospettiva di mantenere il seggio fino al 2018.
Battuta da humour nero, che però dà un quadro preciso della situazione: attorno al premier, nel suo partito, si è fatto il vuoto. Con lui resistono le sparute pattuglie lettiane, una decina di parlamentari in tutto, strenuamente in trincea per difendere l'attuale inquilino di Palazzo Chigi. Gli altri sono già schierati col nuovo premier in pectore. La Direzione di domani potrebbe quindi diventare la pietra tombale sul governo Letta, e all'uopo è già stato preparato un ordine del giorno morbido nei toni, inequivoco nei contenuti con il quale il Pd ritira la fiducia al suo ex vicesegretario. Nessuno vuole davvero arrivare a questo (anche se i lettiani sfidano: «Vediamo se il Pd ha il coraggio di sfiduciare Letta e il suo programma di legislatura»), e dunque si confida nell'opera di persuasione degli alleati: Scelta civica, col capogruppo Andrea Romano, si è già augurato che «Letta per primo comprenda la necessità di voltare pagina»; e ieri sera si raccontava di un Angelino Alfano in visita da Letta per convincerlo a mollare. Tutti nel Pd si augurano un incontro chiarificatore tra il premier e Renzi, che secondo i rumors si dovrebbe tenere questa mattina all'alba. Sulla resistenza di Letta, che ieri sera faceva trapelare la possibilità di una conferenza stampa in giornata per presentare il suo programma, ieri si interrogavano tutti, nel Pd. «È rimasto l'unico a guardare un film che non esiste», diceva Gianni Dal Moro, al termine della riunione mattutina dei parlamentari con il segretario. Un amico del premier, di vecchia scuola Dc, la spiega con il fatto che «Enrico era talmente convinto di poter andare avanti grazie allo scudo del Quirinale che non si è preparato nessun piano B». Piano B che potrebbe essere un posto da ministro di primo piano, come la Farnesina, per poi puntare ad un incarico europeo. «In fondo anche Andreotti, Amato, persino Ciampi hanno fatto il presidente del Consiglio e poi il ministro», ricorda Ettore Rosato.
E Matteo Renzi? Il sindaco di Firenze il suo piano B lo aveva pronto, invece. Il suo scenario preferito restava quello più volte enunciato: portare a casa la riforma elettorale e andare al voto in autunno, lasciando Letta a Palazzo Chigi per altri otto mesi. Ma Letta non ne voleva sapere di mettere una data di scadenza al suo governo, nella convinzione di poter alla fine resistere per tutta la legislatura. E l'altra sera al Quirinale il segretario Pd si è trovato davanti ad un presidente della Repubblica ostinatamente contrario al voto anticipato, e piuttosto interessato a conoscere le idee di Renzi su un suo possibile governo. Idee che il sindaco ha in queste settimane messo a punto: governo snello, dicasteri accorpati, pochi ministri. Maggioranza aperta a futuri apporti che potrebbero arrivare da Sel e dissidenti grillini. Perfino la Lega con Salvini annuncia: «Non diremo no preconcetti». Programma intenso e incalzante di riforme a tutto campo. Al partito, che la minoranza Pd sogna di riconquistare, metterà invece un vice-segretario (si parla di Lorenzo Guerini) a tenere il presidio. Insomma, a sentire i suoi Renzi è pronto a ricevere l'incarico anche domani, e a presentare la lista dei ministri nel weekend. Si parla di un giuramento già domenica.
Nella notte tra lunedì e martedì, in un summit con i fedelissimi, il dado è stato tratto. E ieri mattina, davanti all'assemblea dei parlamentari riuniti per parlare di legge elettorale, Renzi è stato chiaro come mai prima: «Questo governo ha le pile scariche. Più che ricaricarle sarebbe meglio cambiarle».
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