Roma - Se le pensioni fossero regionali la Sicilia sarebbe in default da anni. Tutti si preoccupano del dissesto dei bilanci dell'isola, anche perché l'insolvenza regionale non esiste e alla fine i soldi, in un modo o nell'altro, li dovrà tirare fuori lo Stato e quindi tutti i contribuenti. Ma un conto siciliano lo stiamo già pagando da molto tempo, al ritmo di cinque-dieci miliardi all'anno, ed è appunto quello previdenziale. A farlo emergere è stato tempo fa Alberto Brambilla, presidente Nucleo di valutazione della spesa previdenziale del ministero del Lavoro in uno studio sulla regionalizzazione del bilancio statale. I dati sono del 2003, ma la situazione non è cambiata, se non in peggio assicura l'esperto di previdenza.
In sintesi, il saldo tra entrate e uscite, cioè tra contributi e prestazioni, in Italia è tradizionalmente in rosso. Un bubbone lasciato in eredità dal vecchio sistema retributivo (anche se non solo da questo), che si sta lentamente riassorbendo. A coprire la differenza ci pensa lo Stato, ma anche in questo caso la distanza tra Nord e Sud si fa sentire. «Al Nord e al Centro il rapporto tra entrate e uscite è abbastanza equilibrato. Il Nord versa il 13,5 % in meno di quanto incassa, il Centro il 21%, mentre il Sud versa ben il 62% in meno di quanto riceve in termini di prestazioni», spiega Brambilla. Quadro identico anche facendo il rapporto tra contributi e assegni versati: il Nord copre mediamente l'87,5% delle sue pensioni. Uniche regioni con tassi sopra il 100, cioè dove le entrate sono superiori alle uscite, sono il Trentino-Alto Adige, dove per ogni 100 euro di prestazioni sono versati 101,0 euro di contributi, seguito dalla Lombardia con 100,45. Il Centro ha un tasso di copertura del 79%, mentre al Sud con le buste paga si copre appena il 38% delle prestazioni.
La Sicilia è in testa alla classifica dei disavanzi e il suo rosso, da solo, è pari a quello di tutto il Centro: circa 5,8 miliardi all'anno nel 2003. Se la batte con la Campania (5,1 miliardi) e con la Calabria, che ha cifre inferiori (2,8 miliardi), ma anche una popolazione molto inferiore.
La situazione non è cambiata molto da allora. «Nel 2008 - spiega ancora Brambilla - facemmo un'altra verifica un po' più spannometrica perché non avevamo più i dati a disposizione e registrammo per la Sicilia un bilancio in rosso di 7,5 miliardi. La situazione è peggiorata per tutte le regioni, ma in Sicilia permangono alcuni aspetti critici. Una serie di prepensionamenti, età del ritiro mediamente più bassa, il fatto che le varie riforme sono state recepite anche con cinque o sei anni di ritardo. Non è difficile immaginare che oggi il saldo dell'isola sia vicino ai nove miliardi di euro all'anno». Una manovra correttiva.
Il disavanzo si è cumulato negli anni, contribuendo a creare il nostro debito pubblico nazionale. La Sicilia, dal 1980 al 2003 ha raggiunto un passivo pari a 168 miliardi di euro che rappresenta il 17,5% dell'intero debito; seguono la Campania con 135 miliardi, la Puglia con 130, la Calabria con 88, il Piemonte con 77, la Toscana con 73 e la Liguria con 66. La Lombardia, sempre considerando solo la spesa previdenziale, negli stessi anni avrebbe cumulato un attivo di 29,9 miliardi.
Sicuramente pesa il fatto che nel Sud ci siano meno lavoratori che contribuiscono, ma anche la composizione della spesa previdenziale. Solo un terzo è previdenza in senso proprio, più di un quarto è assistenza e un quinto sono le pensioni di invalidità. «La maggior parte delle pensioni di vecchiaia del Sud - spiega Brambilla - sono integrate al minimo dallo Stato: bracciantato, ma anche altri settori. In parte questi dati riflettono le difficoltà del Sud a svilupparsi, ma pesa anche il fatto che i contributori sono pochi». «Mi stupisce», aggiunge a questo proposito Brambilla, l'Istat che qualche mese fa ha misurato il peso dell'economia sommersa nel meridione e recentemente ha detto che la maggior parte delle famiglie del Sud sono povere. È chiaro che è la grande evasione fiscale e contributiva a determinare questa situazione, così come gli squilibri nella previdenza».
Infine una nota polemica.
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