MilanoCi mancava solo questo, in giorni in cui le gaffe fuorionda del ministro della Giustizia Cancellieri e gli scioperi degli avvocati hanno fatto bruscamente salire la temperatura dei rapporti tra chi governa i tribunali e chi ci lavora dalla parte degli utenti. A Milano salta fuori un bigliettino, dimenticato da un giudice nel fascicolo di un processo civile, che racconta meglio di tanti dibattiti la sciatteria e il fastidio con cui agli avvocati capita di sentirsi trattare: come se il ruolo del difensore non fosse essenziale alla giustizia quanto quello del giudice.
La storia arriva dalla dodicesima sezione civile del tribunale milanese: sezione che si occupa prevalentemente di assicurazioni e risarcimenti. Materia arida ma affollata, e che per il cittadino «normale» è uno dei casi più frequenti di impatto con le aule di tribunale. Qui, davanti a un giudice, era in corso una causa come tante: un incidente stradale, un motociclista che viene investito e subisce un grave trauma a una gamba. A rendere più complessa e più triste la vicenda, c'è il fatto che dopo le terapie per recuperare la gamba, il motociclista sviluppa un tumore che lo uccide. L'investitore viene condannato, gli eredi dell'investito spiccano un decreto ingiuntivo nei confronti della compagnia di assicurazione per ottenere i 200mila euro di risarcimento. L'assicurazione impugna il decreto. Si arriva davanti al tribunale. E avviene il fatto.
Il 28 giugno scorso, nuova udienza. L'avocato degli eredi, Mino Siracusa, apre il fascicolo e rimane di sasso. Appuntato alle carte c'è un biglietto scritto a mano con grafia femminile. É un appunto del giudice, Maria Teresa Zugaro. «Credete di essere furbi a chiedere le somme con decreti ingiuntivi. E invece siete scemi». Siracusa non crede ai suoi occhi. Nell'appunto, il giudice non si limita a far capire chiaramente di avere già deciso a chi dare ragione. Ma insulta i legali di una delle parti. E poco conta che fosse una riflessione che il giudice voleva tenere per sè, e che ha messo per iscritto solo per propria memoria. Quell'appunto fotografa in modo impietoso il modo in cui il giudice affrontava la causa.
Così l'appunto sui furbi e sugli scemi è diventato un caso che ha investito i vertici del Palazzo di giustizia milanese. Siracusa ha chiesto un intervento del consiglio dell'ordine degli avvocati. E ha depositato a Livia Pomodoro, presidente del tribunale milanese, una istanza di ricusazione in cui va giù senza diplomazia: «Il sottoscritto avvocato, dopo trent'anni di professione, non intende farsi dare della "scemo" da un giudice che non ha neppure guardato i documenti di causa, non ha capito l'oggetto della medesima né la causa petendi, e intende preservare la propria dignità di professionista di fronte ad abusi così evidenti e oltraggiosi da parte di un pubblico Ufficiale che dovrebbe garantire Giustizia».
Caso-limite o spia di un fenomeno? Non è la prima volta che un giudice dimentica in un fascicolo
tracce evidenti di una decisione presa anzi tempo. Ma che una toga arrivasse a mettere per iscritto epiteti irriguardosi verso un avvocato non era finora mai successo. Anche questo, a suo modo, è un «fuori onda» eloquente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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