Vabbè che siamo in campagna elettorale, passi che la guerra civile politica, mediatica e giudiziaria che ha segnato gli ultimi vent'anni non dà segni di tregua. Però non è che noi cittadini elettori siamo proprio dei gonzi obbligati a bere qualsiasi panzana. Mi riferisco a due dei tanti santoni che pontificano distribuendo giudizi di moralità e rettitudine a noi poveri scolaretti. Il primo è il novello moralizzatore Beppe Grillo, il secondo è Eugenio Scalfari, fondatore e guru della Repubblica, il quotidiano di De Benedetti che in questi giorni sta pateticamente tentando di convincere i suoi lettori che Silvio Berlusconi è anche il capo della cupola che gestiva gli affari di Expo.
Partiamo da Grillo. Ogni giorno urla che chi non sta con lui è un servo, che gli altri politici sono tutti una manica di ladri e mascalzoni, che lui è il faro, la luce da seguire per redimersi. Sarà. In America, quando uno si candida a guidare il Paese, la sua vita viene passata ai raggi X dalle scuole elementari in avanti: marachelle, amanti, dichiarazioni dei redditi. Di tutto deve rispondere. Per Grillo invece deve valere l'autocertificazione. Lui è puro per definizione. È noto che ha sulla coscienza tre amici morti, tra i quali un bambino di 9 anni (saltò vigliaccamente giù dall'auto che stava guidando prima che precipitasse in un burrone). È noto che aderì al condono fiscale del governo Berlusconi del 2003. È invece meno noto che aveva il vizietto di farsi pagare in nero le sue esibizioni di comico. Riporto un passo dell'articolo uscito sul Secolo XIX di Genova il 17 aprile 2011 e passato del tutto inosservato. Renato Tortarolo, autorevole collega (una vera autorità nel campo del giornalismo che segue il mondo dello spettacolo), intervista Lello Liguori, re degli impresari italiani, uno che dava del tu a Sinatra e che si districò (con qualche ammaccatura) in anni difficili tra i capricci delle star e le minacce dei boss della mala che assediavano i locali e le balere, comprese le sue. Dice Liguori, che di Grillo fu uno degli scopritori: «Detesto Grillo, perché va in giro a fare il politico e sputtanare tutti quanti ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e sessanta in nero. Tranquillo, ho i testimoni». Né Tortarolo né Liguori sono mai stati querelati da Grillo per diffamazione in seguito a questa frase. «Non può farlo - ci dice oggi Liguori -, sarebbe per lui un autogol».
Dunque Grillo avrebbe fatto evasione fiscale. In quelle occasioni e probabilmente non solo. Sarebbe infatti interessante che il comico-guru spiegasse come mai, in anni molto più recenti, si affidò a una società di San Marino per farsi pagare i compensi delle sue serate nei casinò e negli alberghi dell'ex Jugoslavia. Può esibire le fatture di quelle prestazioni in linea con i pagamenti dei committenti? Vedremo.
Del resto, che le star dello spettacolo, soprattutto in anni passati, viaggiassero fiscalmente in una zona grigia è cosa risaputa. Nessuno di loro però si è mai messo a fare il fustigatore. Questione di coerenza, e di dignità. Doti che paiono mancare anche a Eugenio Scalfari, quello che si «vergogna - come ha scritto un paio di settimane fa - a vivere in un'Italia berlusconiana» e che ritiene «insufficiente» la condanna di Berlusconi.
Detto da uno che per anni - come risulta - ha percepito dal suo editore due stipendi per centinaia di milioni di lire ma dei quali solo uno era denunciato e quindi conosciuto al fisco, fa vera tristezza. Evasione, quindi, oggi prescritta per carità. Come sempre accade per i grandi moralizzatori e i piccoli uomini che tengono bordone alla sinistra e ai magistrati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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