A Milano per presentare la nuova collezione uomo Tod's nelle sale art deco di Villa Necchi Campiglio, Diego Della Valle ricorda di quando era bambino, e si infilava di nascosto nel laboratorio del padre e del nonno. Quel laboratorio che il presidente del Gruppo Tod's ha voluto ricostruire (all'interno di una maxi teca di vetro) nei giardini di Villa Necchi, e che presto farà il giro del mondo per mostrare ai tanti estimatori della griffe del gommino come nasce una scarpa fatta a mano. Oltre alle nuove stringate Podium, con cui ha sdoganato i ganci metallici degli scarponcini da montagna trasformandoli in raffinati dettagli formali, e alle nuove borse da uomo Double Strip, in cuoio ingrassato e lucidato a mano, tanto belle e chic «che sono piaciute anche alle donne», la vera chicca della collezione è infatti Sartorial. Nuova linea superlusso fatta a mano dai maestri calzolai (marchigiani) come un tempo. Con passione, energia e un pizzico di magia.
Che differenza c'è fra una scarpa prodotta in azienda e quelle artigianali?
«Il metodo degli artigiani è lo stesso di mio padre e mio nonno: impiegano un giorno di lavoro per ogni paio di scarpe, che poi lasciano a riposo per una notte intera. Me lo ricordo bene, anche se ero un bambino, perché mi piaceva sedermi vicino a quei banchetti dove loro lavoravano».
Quindi ha voluto tornare alle origini?
«Si ritorna all'artigianalità, alla tradizione, anche gli odori e i profumi che ritrovo adesso sono gli stessi che respiravo nella mia infanzia. Allora mi piaceva guardare mio padre e mio nonno mentre erano al lavoro, ero curioso, andavo in segreto a toccare le scarpe e poi mi facevo scoprire perché lasciavo l'impronta del dito Mio nonno mi chiedeva: chi è stato? Non io!, rispondevo...».
Qui c'è il passato, ma anche il futuro, perché il vero lusso va in questa direzione.
«Ed è sinonimo di grande qualità, di un prodotto speciale come questo, che è quasi una limited edition, perché non potremo produrle in larga scala: ogni paio di scarpe è diverso dall'altro».
Perché all'estero il made in Italy piace tanto?
«È quel che noi sappiamo fare meglio ed è quel che il mondo vuole da noi, e quindi bisogna raccontarlo e rimarcarlo, e nessuno come noi italiani sa farlo meglio».
Gli stranieri continuano a comprare in boutique, ma molti uomini oggi preferiscono lo shopping su internet o negli outlet. Da voi come va?
«Noi con l'uomo nei negozi andiamo benissimo, basta guardare i numeri e i fatturati in giro per il mondo. All'e-commerce invece ci stiamo accostando ora, il progetto è quello di essere presenti in modo serio anche nel web».
E gli outlet?
«Noi ne abbiamo solo due in Italia, uno è nella nostra azienda (a Casette d'Ete ndr): con gli outlet non bisogna eccedere perché il prodotto non va inflazionato né svalutato, per rispetto del consumatore. Comunque quello in boutique e quello nell'outlet sono due momenti di shopping diversi, e anche i clienti sono totalmente diversi».
Il vostro cliente più esigente è lo stesso che raccontate in «Italian Portrait»: raffinato, cosmopolita, spesso rampollo dell'alta società
«Noi siamo un marchio italiano, ci riconoscono la leadership nel lifestyle, e ci piace che il nostro stile sia rappresentato da persone in gamba, perbene e solide come quelle raccontate nel libro Italian Portrait, dal giovane artista che sta in un loft a Milano fino al gentleman di campagna che vive in Toscana: sono loro a portare lo stile di vita italiano in giro per il mondo. Sartorial è il nuovo capitolo di questa storia».
Stile a parte, il suo Gruppo continua a sostenere la cultura.
«Continuiamo, e abbiamo il dovere di sostenere i simboli della cultura e della qualità italiana. Il Colosseo, monumento più visitato d'Italia, è un esempio, a Milano continuiamo ad essere soci fondatori della Scala, e se ci saranno altri progetti, siamo qua».
Un messaggio alle altre aziende italiane?
«Credo che oggi le aziende debbano operare in una logica di competitività e solidarietà. E debbano sostenere la cultura».
Ma per avere successo, cosa conta di più?
«Il nostro mondo è fatto di qualità e di lusso, qui c'è il cuore che fa i numeri».
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