Nino Materi
Nell'istituto dove è stato portato lo stanno «resettando»; lo stanno facendo «decantare»; lo stanno «decontaminando». Peccato che Leonardo non sia un computer rotto, una bottiglia di vino, un rifiuto radioattivo. Lui è solo un bambino di 10 anni. E forse ad avere più di Leonardo bisogno di cure sono i «grandi»: quegli stessi adulti che riusciti nell'edificante impresa di trascinarlo via come fanno gli accalappiacani con i randagi.
Quelli di Leonardo sono due genitori, a loro modo, colpevoli: colpevole la madre cui è stata tolta addirittura la potestà genitoriale (e qualche motivo per farlo i giudici l'avranno pure avuto), colpevole il padre che ha preso parte attiva all'ignobile «rapimento» del figlio a scuola.
Poi ci sono altri soggetti che hanno mostrato di avere le loro responsabilità: assistenti sociali, psicologi, giudici e poliziotti.
Ma c'è un altro aspetto inquietante. E cioè che i drammatici attori di questa storiaccia riflettono un rischio ben più generale. Ci riferiamo all'enorme potere nelle mani dei servizi sociali in grado, con un loro parere, di alterare gli equilibri affettivi delle famiglie. Genitori costretti a vivere nell'ansia solo perché magari hanno il figlio che all'asilo parla troppo velocemente o è troppo timido. E se alla maestra viene sghiribizzo di segnalare l'«anomalia» ai servizi sociali? E se questi ultimi decidessero che il parlare troppo veloce (o troppo lento) di un bimbo fosse solo una spia di un malessere e un disagio interiore, sintomo di «cattiveria» di mamma e papà? Allora cosa potrebbe succedere?
Nulla da eccepire se le assistenti sociali e psicologi interpretano il proprio ruolo con professionalità. Ma come la mettiamo se l'«esperto» di turno non è all'altezza della situazione? La cronaca, purtroppo, offre fin troppi casi emblematici. Ieri il Quotidiano di Basilicata riportava in prima pagina una notizia da brivido: «Il tribunale per i minorenni toglie la patria potestà a un padre. La sua colpa? Amare troppo le sue figlie». Una semplificazione giornalistica? No. La sentenza del Tribunale dei minori di Potenza si basa su una relazione dei servizi sociali e recita testualmente: «L'osservazione psicologica ha rivelato un atteggiamento simbiotico verso le bambine, vissute e percepite come un oggetto di amore assoluto e indifferenziato da proprio sé, un prolungamento del suo io quantomeno nelle sue funzioni affettive e relazionali». «Figlie che oggi - fa notare il legale che difende il padre condannato per eccesso di amore - si trovano ad essere affidate alla madre rumena che due anni fa le abbandonò trasferendosi in Germania».
Clamoroso anche il flop delle istituzioni addette alla tutela dei minori anche nel caso dell'asilo degli «orchi» di Rignano Flaminio: un gruppo di maestre, bidelli e altri estranei alla scuola sono finiti in un tritacarne giudiziario durato sei anni perché accusati di aver abusato dei bimbi dell'asilo. Contro di loro una serie di racconti dell'orrore raccolti dai soliti «esperti» e poi sgonfiatisi in un'assoluzione totale per tutti gli imputati.
E che dire di quell'altro clamoroso caso dei fratellini di Basiglio, nel milanese, allontanati dai genitori per un disegno osè; si scoprì poi la mamma e il padre erano due persone più che perbene e che il disegno erotico non era stato neppure opera dei bimbi che per 69 giorni furono ospitati in comunità. Una bazzecola, comunque, rispetto all'ignobile diffamazione cui fu sottoposto il povero Lanfranco Schillaci, stimato professore di matematica, il giorno in cui - era il 23 aprile 1989 accusato dai medici del servizi sociali di aver sodomizzato la figlia di 2 anni, Miriam.
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