Mani dietro la schiena, camicia azzurra, pantaloni scuri, occhiali, sguardo svagato e sorriso bonario. Giuseppe Rampello sembra capitato per caso sul palco del teatro del carcere romano di Rebibbia. Tutto sembra fuorché un detenuto, non fosse per il dettaglio rivelatore dei calzoni che stanno su senza cintura, oggetto bandito dietro le sbarre. Infatti, almeno oggi, è uno scrittore. Prende il microfono, guarda giù in platea e incrocia lo sguardo di Gino Paoli, che è qui in quanto presidente Siae. Così, attacca quasi cantilenando a dire che «quando scrivo, la mia cella non ha più pareti, sbarre né soffitto, e vedo il cielo sopra me». Per lui la scrittura è leggerezza in un luogo pesante, è libertà dove non ce n'è. Era un alto funzionario del ministero del Lavoro, Rampello, distaccato a Palazzo Chigi. Un giorno di giugno del 2009 ha ucciso sua moglie, e ai poliziotti arrivati ad arrestarlo ha spiegato che era malata, che non voleva più vederla soffrire. È finito a Regina Coeli con una condanna a 14 anni sulle spalle.
Il 64enne Rampello è uno dei 400 ospiti italiani e stranieri delle nostre carceri che ha raccolto l'invito a scrivere un racconto per partecipare al più atipico dei premi letterari, «Racconti dal carcere», dedicato alla scrittrice Goliarda Sapienza che fu, suo malgrado, «ospite» di Rebibbia nel 1980. È arrivato tra i 25 finalisti, si è aggiudicato un «tutor», Pino Corrias, sedotto a sua volta da questo personaggio un po' lunare. E, a coronamento della parafrasi carceraria del cielo in una stanza, Rampello ha vinto il premio. Lo ha fatto con «Pure in galera ha da passa' 'a nuttata», raccontando la vita quotidiana negli spazi angusti della sua nuova casa, Regina Coeli, tratteggiando con uno stile leggero e divertente i «tipi umani» che popolano il carcere trasteverino. C'è «er Cobra», l'habitué, che ha passato dietro le sbarre metà della sua vita e ormai conosce - o crede di conoscere - ogni regola e segreto della galera, che considera un luogo per allacciare nuovi contatti d'affari, c'è il «Berluschino del Trullo», boss di borgata, che interpreta le carte per disegnarsi un futuro (giudiziario) roseo, salvo scontrarsi con la dura realtà, che ha in serbo per lui un destino differente. Un tono leggero che lascia comunque intravedere le magagne di un sistema che non funziona, un carcere che serve «solo a chi, come me, ha poco da imparare», racconta lui dopo la premiazione, aspettando che la polizia penitenziaria lo riporti a Regina Coeli. La galera «dovrebbe essere un indicatore di civiltà» ma, così com'è, non può funzionare, spiega Rampello. Affidandosi a una metafora «orrenda, ma che rende bene l'idea: il carcere dovrebbe essere un luogo dal quale si esce migliori, invece è come un canile. E se metti un cane aggressivo in gabbia e lo lasci lì senza far niente, quando lo liberi sarà più aggressivo di prima».
In un quadro desolante, iniziative come il premio Goliarda Sapienza, organizzato dalla giornalista Antonella Ferrera e promosso dalla Siae (che ha offerto ai finalisti l'iscrizione gratuita alla sezione Olaf), dall'onlus InVerso, dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e da quello per la giustizia minorile, indicano la direzione da prendere in attesa di una riforma del sistema. Dietro Rampello, per la categoria adulti, è stata premiata la 32enne Paola Francesca Iozzi (tutor Erri De Luca), arrestata un anno fa per associazione sovversiva, ora libera in attesa di giudizio, che in «Alla ricerca del vento» racconta una fuga con un'amica finita su una spiaggia, di fronte al mare.
Al terzo posto la marocchina Nezha El Raouy con un racconto («I bambini del nido blu») sugli asili nido circondariali, una riflessione sul dilemma di una madre dietro le sbarre, indecisa se rinunciare al proprio figlio o costringerlo a una incolpevole detenzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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