«Il migliore governo è quello che agonizza, perché fa posto a un altro» (il virgolettato non è mio, ma di Gustave Flaubert). E mi pare che la compagine presieduta da Matteo Renzi non sia in salute come si sforza di apparire. Abbiamo letto che i parametri economici autorizzano a emettere una diagnosi infausta: il Pil va giù e il debito pubblico va su; l'occupazione scende e le tasse salgono. Lasciamo perdere i consumi e la produzione: precipitano.
Non mi piace addossare troppe responsabilità al premier, però è lecito chiedergli se continua a essere ottimista quanto il giorno in cui s'insediò a Palazzo Chigi. Molta gente che aveva sperato in lui quale uomo della provvidenza, comincia a ricredersi. Scuote la testa: teme di essere stata bidonata. Attende sviluppi e si prepara alla catastrofe, che si annuncia fra otto giorni, quando nella notte fra domenica e lunedì si conteranno le schede.
Le elezioni europee in un Paese normale - meno isterico del nostro - non incidono sulla politica interna; in Italia invece sono una specie di referendum circa la legittimità democratica dell'esecutivo in carica. Cosicché tra poco più di una settimana verificheremo se Matteo è oppure fu. Il suo destino è legato al risultato che otterrà non soltanto il Pd, del quale è segretario, ma anche il Movimento 5 stelle. Quest'ultimo non è un partito ortodosso ma una mina vagante, una minaccia, una calamità potenziale la cui forza devastante non si è ancora espressa completamente.
Beppe Grillo si alimenta delle disgrazie dei suoi avversari, pertanto ingrassa ogni dì e sta per diventare obeso: i sondaggi - quelli poco scientifici e basati sul fiuto - lo danno addirittura al 30 per cento. Percentuale sbalorditiva ove si consideri che il Pd nella sua lunga storia (da Enrico Berlinguer a Walter Veltroni) non ha mai superato un terzo dei consensi, e anche nella presente circostanza non dovrebbe andare oltre. Nel qual caso, il rischio che i grillini compiano il sorpasso non sarebbe remoto. Mettiamo pure che i democratici vincano di un soffio, come avvenne nel febbraio 2013: per Renzi sarebbe una sonora sconfitta, come fu per Bersani, e ciò inasprirebbe le tensioni fra gli ex (o post) comunisti, divisi in due tronconi: i tradizionalisti e i rottamatori, tanto per semplificare.
Il partito sarebbe scosso da un terremoto e fra le vittime si potrebbe contare lo stesso Matteo. Con i tempi che corrono, bruciare un leader è un gioco d'infanzia. Se le nostre previsioni non sono campate in aria, ci attende un periodo burrascoso, quantomeno fosco. Probabilmente i progressisti, che per vent'anni hanno combattuto Silvio Berlusconi con tutte le armi, comprese quelle improprie, si accorgeranno - se non ne sono già edotti - che il vero nemico non era lui, ma il comico genovese. Il quale, essendosi inserito fra i due litiganti, si accinge a godere come un riccio.
Lui, e soltanto lui, infatti, è in grado di raccattare il suffragio dei nauseati dalla politica, ovvero coloro che non vorrebbero votare, ma che, se decidessero di farlo spinti dal cupio dissolvi (crepi Sansone con tutti i filistei), darebbero la preferenza all'uomo specializzato nella demolizione e incurante della riedificazione, ritenendola poco interessante, un mestiere diverso dal suo. E qui arriviamo al punto. Finché la battaglia era circoscritta al bipolarismo - centrodestra contro centrosinistra - erano escluse sorprese: chiunque vincesse, più o meno erano noti i guai che avrebbe combinato. Non parliamo di vantaggi perché non ne abbiamo mai visti.
Comunque il Paese tirava avanti, sollevando i soliti mugugni popolari, ma senza essere trascinato nel burrone. Adesso si registra che il terzo incomodo pentastellato contende il primato elettorale ai due protagonisti di una volta; qualora con un guizzo dell'ultim'ora passasse in testa, si aprirebbero degli scenari (inimmaginabili fino a un paio di anni orsono), nei quali Renzi avrebbe il ruolo di una meteora, anzi di una farfalla la cui vita è breve come un sospiro.
Difficile fare ipotesi su ciò che accadrebbe con Grillo sul gradino più alto del podio e con il Pd e Forza Italia al piano di sotto. Ma è facile, conoscendo i nostri polli, prevedere un disastro. Basta pensare che il M5s si è appiattito su posizioni giustizialiste e manettare: si augura che tutti i politici avversari vadano in galera e non escano più; auspica un repulisti indiscriminato; vagheggia un ripescaggio del marxismo. Non solo. Intende rifiutare di allearsi con altri partiti, per cui non si comprende quale tipo di maggioranza avrebbe l'opportunità di crearsi allo scopo di formare un governo.
Quale governo? Sostenuto da chi? Da sottolineare che Grillo, bene che gli vada, non otterrà, né il 25 maggio né a eventuali politiche (più o meno anticipate), il 50 e rotti per cento buono per un monocolore. E allora? Nel nostro futuro ci sarebbe il caos, aggravato dal fatto che non abbiamo ancora una legge elettorale sostitutiva del Porcellum. Di modo che si voterebbe con un sistema proporzionale foriero di disordini ampiamente sperimentati.
Chi giurava che, ferito Berlusconi, si sarebbe tornati al tran tran rasserenante della Prima Repubblica, con la sinistra stabilmente insediata al governo, scoprirà invece che il Paese sarà in balia di un manipolo di sfasciacarrozze coadiuvati da una giustizia ansiosa di farla pagare a chi mirava a riformarla per mandarla a cuccia.
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