Quel vile in fuga dalla famiglia

«Non avevo il coraggio di chiedere a mia moglie la separazione. La famiglia per me era diventata una gabbia. Con il divorzio i figli restano». E così, «fa l'amore» e li sgozza tutti.
Questa non è follia. È la lucida determinazione di un vile, incapace di uscire da quella che lui (...)

(...) definisce una «gabbia». Un comportamento abituale, con diversi e distanti gradi di ferocia - dall'abbandono improvviso alla strage familiare - degli omuncoli crudeli, consapevoli solo dei propri bisogni.
In genere, questi insani personaggi sono di bell'aspetto, abituati ad avere tutto ciò che desiderano, a cominciare dall'apprezzamento degli altri. Quando formano una famiglia, scelgono una moglie bella e capace, alla quale delegano la scrittura e il montaggio di un film fascinoso del quale loro devono apparire registi magistrali e interpreti da oscar. Non sbagliano una mossa: chiunque descriva com'era quella famiglia (quelle famiglie, purtroppo) prima del gesto repentino e rivoluzionario, dirà che richiamava le storie del Mulino Bianco, che lui era molto innamorato, la moglie l'adorava, i figli erano buoni e felici.
Poi lui se ne va, insalutato ospite; oppure inizia un'inaspettata relazione; o ancora chiede all'improvviso la separazione per colpa di lei; oppure lascia i suoi cari senza denaro; a volte, accoltella a morte la famiglia e va a vedere la partita.
Dunque scappa dalla «gabbia» o decide di distruggere la gabbia con gesto criminale. Cancella senza vergogna quelli che lui, lo schifoso vigliacco, considera limiti insuperabili ai suoi nuovi desideri, al cambiamento, alla rinascita di un sordido verme represso. Il vero problema è la moglie: in genere vale più di lui, o è più ricca; in ogni caso non c'è niente che le si possa imputare. È talmente valida e perfetta che la solidarietà degli altri sarebbe solo per lei. Lui chiederebbe anche la separazione se lei fosse noiosa, infedele, algida, rompiballe. Ma, non essendo lei così, o è costretto a inventare colpe inesistenti di lei, o non può accettare di doversi scusare per voler cambiare direzione al progetto fino allora condiviso; teme i perché e le eventuali critiche; non può per l'ennesima volta compararsi a lei e dovere ammettere la propria inferiorità. Anche pubblicamente. Questo tipo di uomo, megalomane e meschino, infedele e bastardo, vigliacco e ingrato, ha sempre la presunzione di voler sembrare più interessante e capace della moglie. Soffoca e non elabora il senso di colpa (per volersene andare o per avere già tradito) trasformandolo in aggressività, fino ad arrivare alla violenza e persino all'omicidio. Non è follia, non è vendetta. È odio, invidia, superbia, anaffettività e narcisismo che tracimano nel sangue e nel respiro di coloro che, inconsapevoli, amavano una bestia feroce, assetata sempre del proprio personalissimo trionfo. A spese della vita altrui.
Soffrono duramente i figli e le mogli, rinnegati e depennati in vita da uomini imbelli, che godevano della fiducia della responsabilità di progetti e sentimenti comuni. Questa sofferenza, portata all'ennesima inimmaginabile potenza, deve aver tramortito la povera disgraziata moglie di quel mostro di egoismo, che ha trucidato scientificamente la sua bella famiglia. La poverina, dopo avere fatto con lui «l'amore», gli chiedeva piangendo «perché?», mentre lui le affondava il coltello nella gola baciata un istante prima. E forse a quei bimbi sereni, perché accuditi nella culla di una famiglia illusoriamente felice, il sonno ha risparmiato di capire la peggiore delle infamie.
Ora lui, l'orrido orco, nella sua abituale e sontuosa stima di se stesso, chiede alle autorità di poter avere il massimo della pena: e diamoglielo! E anche un bel po' di più, se possibile.

I cattivi esistono e bisogna avere il coraggio di punirli, senza pietismi e inappropriati garantismi. Ai ladri di vite altrui deve essere rubata la vita per sempre. Quantomeno per fargliela trascorrere nella vergogna bruciante di esistere.

di Annamaria Bernardini de Pace

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